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IL « MORGANTE » DI LUIGI PULCI
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Fo (6.5:) ot, = < È < PREFAZIONE SO È wr: MI DI . a Nell odierno rinnovamento della critica letteraria l° autore
csdel Morgante non può certo lagnarsi d’ essere stato megletto o Scurato men di quello che si meritasse. Restringendoci a parlare del suo capolavoro, ch’ è oggetta degli studì raccolti in questo volume, nel °69 e "71 uscivano, prime in ordine di tempo e d’im- portanza, due monografie del Rajna, nelle quali si studiano am- piamente le fonti delle due parti del poema. Poco appresso èl sig. Carlo Rosselli Dal Turco pubblicava un suo lavoro intitolato <cLa poesia cavalleresca italiana ed il Morgante di Luigi Pulci, oenel quale tra molte notizie tutt altro che peregrine e molti giu- Daixà falsi, è pure qualche giusta osservazione. Più circoscritto ne suoi limiti e più pratico nelle conclusioni usciva nel °77 uno studio comparativo tra la seconda parte del Morgante e è poemi francesi e italiani che trattano la rotta di Koncisvalle, del prof. Giovanni Ricagni; e nell °81 dl Fornaciari inseriva nel Liceo di Firenze un breve ma interessante studio sul bizzarro poema. Fuori d’ Italia intanto Roberto Halfmann raccoglieva e ordi- nava metodicamente (con quanta utilità degli studiosi, non sa- prei) le immagini e le similitudini del Morgante e Giovanni Hiibscher pubblicava poco dopo @ testo dell’Orlando con una lunga introduzione, nella quale si discorrono partitamente è rap- porti tra l’ antico poema e il rifacimento del Pulci. L’ ultimo lavoro a me noto intorno al Morgante è un geniale articolo del — Graf sul valore estetico del più bizzarro tra è personaggi pul- «cani, Margutte.
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IV Con tutto ciò il voto del Rajna, che alcuno si accingesse
ad uno studio în cui « si facesse vedere in qual modo il Pulci
abbia trasformato la materia che tolse dai poeti popolari, in che si distingue da costoro, che ‘cosa abbia aggiunto del suo », non è stato ancora esaudito; e siccome l’ illustre professore non pare di- sposto a darci sul Morgante cosiffatto lavoro, che da lui solo potrem- mo aspettarci perfetto, ho avuto 10 la temerità di meltervi mano..
È questa adunque la parte più importante del mio studio,
alla quale, come complemento necessario, ho aggiunto un’ altra
in cui raccolgo, rivedo, allargo quanto è stato scritto sul disegno, le fonti, la materia del Morgante, e ricerco quello su che altri fin qui non aveva creduto di fermarsi: spererei dunque di aver fatto opera compiuta.
Ad alcuno parrà che i0 nog abbia approfondito abbastanza e rapporti tra il poema pulciano e la scienza nel secolo XV; ma, olire che questo esorbiterebbe dalla cerchia del mio lavoro, sarà oggetto di una pubblicazione del dottor Guglielmo Volpi, U quale va scrivendo alcune RETE monografie sul singola= rissimo poeta del rinascimento.
A rendere men faticosa la ira del mio libro ho creduto di scostarmi dalla consuetudine, in vero un po’ pedantesca, di imbottire il testo con frequenti citazioni è di accodare alle pa- gine una filza di note; perciò ho collocate in fondo al volume le notizie bibliografiche, i giudizi di critici autorevoli 0 consoni au miei 0 discordi da essi, e va dicendo.
Levo la mano da questo volume, colla coscienza di aver fatto del mio meglio e nella speranza che un benevolo giudizio della critica m’ incoraggi a continuare i miei studì sull’antica poesta cavalleresca.
Correggio, 2 Felbraio 1891.
FRANCESCO FOFFANO.
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I.
LA MATERIA DEL « MORGANTE ».
Non sappiamo con certezza in qual anno, ma probabilmente intorno al 1466 (1), Luigi Pulci per in- vito di Lucrezia Tornabuoni, madre del magnifico Lorenzo, metteva mano al poema romanzesco il Morgante, che è l’opera più notevole uscita dalla fantasia del bizzarro scrittore.
Pio Rajna ha il merito di avere additato le fonti a cui attinse il Pulci presso .che tutta la ma- teria del suo racconto (2). Questo si può agevolmente dividere in due parti, che comprefidono l’ una i primi ventitrè canti, l’ altra i rimanenti cinque.
(1) Volpi, Del tempo in cui fu scritto il « Morgante nr, in Rass. Emil A. II, fasc. X, p. 550 sgg.
(2) La materia del Morgante in un ignoto poema cavalleresco del se- colo XV, in Propugnatore, II, 1*, 7: 220: 353. — La rolta di Roncisvalle nella letteratura romanzesca itatiana, id., IV, 2, 91.
1.
—_— 3 — Nella prima egli segue passo passo un poema d'i-
gnoto autore, scoperto dal Rajna stesso nella Lau- renziana e pubblicato da. Giovanni Hùbscher (1), in
cui si narrano imprese, peregrinazioni, avventure dei baroni francesi in Oriente e in Occidente, alle
quali dà quasi sempre occasione la perfidia di Gano;
protagonista n’è Orlando, che secondo ogni proba- bilità dava anche il titolo all’opera. Nella seconda, per ragioni che non possiamo stabilire, ma vero- similmente perchè l’ Orlando era quale ce lo dà il codice laurenziano-mediceo, cioè incompiuto, il poeta non attinge più ad esso, ma parte inventa,
“parte deduce‘dalle versioni italiane della rotta di Roncisvalle, e segnatamente da quella contenuta. | nella Spagna in rima (XXIX-XL), poema popolaris-
simo nel secolo decimoquinto. Fra la prima e la seconda parte del racconto
. si può dire che non esista alcun legame; esse stanno
come da sè, anzi il poeta immagina. che tra i fatti raccontati nell’una e nell’altra sia corso un lungo intervallo di tempo, sì che i baroni francesi han conquistato province e reami, e son divenuti già vec- chi. Conviene poi sapere che i primi XXIII canti tro- viamo pubblicati nel 1481; il poema tutto intero sul principio dell’83. Una questione adunque ci si pre- senta subito: quando il Pulci pose mano al Mor- gante, aveva egli in mente il disegno di tutta l’ o- pera? Se è così, pensava egli a compierla colla narra- zione della rotta-di Roncisvalle? E in tal caso, come s’indusse ad accozzare due racconti così disparati?
Il Rajna, alle opinioni del quale è da dar molto peso in cosiffatta materia, non si arrischia a fare una vera ipotesi, solo mette innanzi alcuni ragio- nevoli forse. Fermo che l’ Or/ando era incompiuto
(1) « Orlando n» diè Vorlage zu Pulci ’s « Morgante n, Marburg, 1886.
i:
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22 MATT ”
a ie (il che è quasi certo), e che ad un racconto della rotta il poeta non pensò da principio (come pare si
raccolga da alcuni accenni del Morgante), egli scrive:
« forse... suo primo pensiero fu di continuare e com- piere l’azione... dell’Or/ando...; fors'anco avrebbe la- sciato l’opera incompleta, quale avevala pubblicata dapprima, se gli amici non lo avessero stimolato a darle un compimento qualunque si fosse » (1). A me parrebbe di poter dare una risposta più soddisfa- cente a quelle domande. |
Debbo anzitutto richiamare l’attenzione degli studiosi sopra alcune contraddizioni nelle quali è caduto il Pulci, e che si riferiscono appunto al di- segno del poema.
Che in generale non sia dar molto peso alle af- fermazioni di lui, non ha bisogno di dimostrazione:
}è stato anzi notato che la comicità di alcuni tratti i scaturisce dal contrasto fra la stranezza del racconto e la serietà con cui egli cerca di persuadere il let- —
tore che la cosa è andata proprio nel tale o tal altro modo, perchè lo dicono autori degni di fede, od egli l’ha saputo da buona fonte. Ma quelle ch’io andrò riportando e discutendo, non mi sembrano tali: sono confessioni che gli escono, direi quasi; involontariamente dalla bocca, e meritano per ciò attenta considerazione.
Il Pulci, imitando evidentemente l’ Alighieri, del quale fu studiosissimo, paragona il suo poema ad una navicella, che ha da solcare le onde dell’ 0- ceano. Nel primo canto (ott. 4) egli ha « varato la sua barchetta »; nel secondo (1) prega Dio che « ha mosso la sua barca », ad essere suo « nocchiero sempre intento e fisso »; nel quattordicesimo (1) ringraziandolo che l’ ha « condotto insino al mezzo
(1) Prop. IV, 2,° 93.
BO, get della soglia», lo prega nuovamente a guidarlo « in- sino al porto con tranquillo vento »; nel sedicesimo
:(1) dice che ha « passato il mezzo »; nel ventesimo -
.primo (1) « che vede omai la foce »; nel ventesimo terzo (1) che è « al levar delle tende »; nel vente- simo ottavo ed ultimo (2) spera di «andare in porto Colla sua barchetta ».
Il più importante di questi accenni è senza dubbio quello del canto decimo quarto, in cui il poeta afferma che Dio l’ha « condotto insino al mezzo della soglia »j ma esso non è così chiaro come a prima giunta può parere. Infatti l’ ultima stanza del canto decimoterzo corrisponde alla pe- nultima del cantare ventesimosesto dell’ Orlando, il quale così come l’abbiamo, cioè incompiuto, ne ha in tutto sessanta. È dunque ragionevole do- mandarsi: quando il Pulci affermò di essere « al mezzo della sogiia », lo disse perchè, rifacendo l’ Orlando, era giunto al cantare ventesimosesto, cioè presso la metà; ovvero si riferiva al poema suo proprio ? E in questo caso intendeva egli d’es- sere alla metà del poema in XXIII canti, od in XXVIII?
Che il Pulci si riferisse all’ Orlando non mi pare probabile. Anzitutto gli restavano a rifare (am- pliandoli, come suole fino al XXXII.°) ben tren- taquattro cantari, cioè otto di più di quelli già ri- fatti; poscia il poema non finiva certo col LX.° e avesse egli sotto gli occhi l’ Orlando compiuto, o, come è probabile, per non dir certo, quale ci è conservato nel codice laurenziano-mediceo 78, alla fine del XXVI.° egli non poteva certo asserire di essere al punto di mezzo o giù di lì: doveva ve- dere che a compiere l’azione di esso occorrevano un cert’'altro numero di cantari. Io quindi non ac- cetto questa prima ipotesi; come non accetto del
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pari la seconda, ch’egli si riferisse al poema in
XXIII canti, cioè dicesse di essere a mezzo del la-’
voro, misurando questo dal numero delle ottave,
che nei primi XIII son circa mille ducento, nei
dieci rimanenti poco più di mille quattrocento, In primo luogo vi sarebbe una differenza di oltre
ducento ottave; ma, pur lasciando questo argomento.
che potrebbe essermi ritorto contro, per quanto s’abbia un disegno prestabilito in mente (e trattan- dosi del Pulci la cosa non pare probabile), non si può valutare nemmeno approssimatamente il nu- mero delle ottave, quando se ne debbano scrivere parecchie centinaia.
Resta dunque che egli disegnasse fin dal prin- cipio di stendere la tela del suo poema in ventisei o “ventotto canti circa, sì da poter dire sul princi- cipio del quattordicesimo che era « al mezzo della soglia ». E si noti come apparisca in lui il propo- sito di non voler oltrepassare quel numero, chè i
canti nella seconda parte del Morgante sono in
‘paragone di quelli della prima, smisuratamente lunghi.
Ora si domanda: dovevano essi corrispondere : per la materia ai sessanta cantari dell’ Orlando ? ‘ Ai primi XXVI, che hanno ottave novecento novan- tatrè, corrispondono i primi tredici del Morgante, che ne hanno in tutti mille duecento tredici, e in media novantatrè ciascuno: c'è dunque la propor- zione da quattro a cinque; gli altri trentaquattro cantari ne hanno mille trecento: fatte le stesse pro- porzioni, i rimanenti canti del Morgante avrebbero dovuto averne tra mille cinquecento e mille sei- cento: ognun vede che distrjbuendole in gruppi da cento circa, avremmo una quindicina di canti. Pos- siamo dunque arrischiare un altro passo e dire che il Pulci disegnò da principio di dare al poema l’am-
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ni piezza di circa ventotto canti, e che questi dovevano corrispondere ai sessanta dell’ Or/ando. , Senonchè dal canto XVI. in giù il Pulci, anzichè
allargare il racconto dell’ ignoto rimatore, lo com-
pendia, per modo che a circa mille e cento ottave di quest’ ultimo, ne corrispondono (tolto il lungo
| episodio di Margutte, affatto nuovo) poco più di ot-
tocento. Quale può essere la ragione di ciò? S'è già veduto che pur continuando ad ampliare, come fa-
| ceva, il racconto, l’estensione del poema non avrebbe oltrepassato il limite proposto: dunque non l’ha
fatto per questo. Il Rajna ammette ch’egli tirasse via « stanco e desideroso di finire » (1), ma la ra- gione soddisfa poco, e d’altra parte il valentuomo la dà come una semplice ìpotesi. L’Hùbscher am- mette che il-Pulci, « addomesticandosi sempre più colla materia, diventi anche più indipendente » (?); ma è da notare che egli volontariamente compendia il testo, e d’altra parte tra i primi trentadue can- tari ampliati e i secondi ventotto compendiati, c’ è come un taglio netto. Converrà dunque ammettere - la ragione sia stata un’altra, e probabilissimamente quella di dare un’ampiezza notevole a qualche parte del racconto; siccome poi questa non può trovarsi nell’ Orlando, che il poeta invece compendia, resta che appartenga ad un racconto nuovo, col quale il Pulci disegnava di dar compimento a quel poema.
Abbiamo qui, se non erro, una prova indiretta che egli aveva dunque pensato ben presto a chiu- dere come che sia l’azione dell’ Orlando. Un'altra, e questa di molto peso, ce si borsone due versi del
penultimo canto.
Ed io pur commedia pensato avea Iscriver del.qmio, Carlo finalmente,
dice egli nell' ottava seconda. Lasciamo stare quel- q
(1) Prop. II, 1°, 248. (2) Op. cit., pag. XLVII.
—_— 7 —- l’avverbio ‘che potrebbe voler dire « in fine », ma. anche essere messo lì per la rima: notiamo piut- tosto che la parola commedia è adoperata qui col valore che essa aveva nel linguaggio rettorico an- tico di « racconto avente lieto fine »; ma se l’ Or- lando è incompiuto ? Se l’ ultima ottava del can- tore LX.° contiene, a farlo apposta, il pianto di Ri- naldo per la morte di Aldighieri! |
Mi sia dunque permesso dedurre da questo lungo e intricato ragionamento che il Pulci divisò- fin dal principio di rifare l’ Or/ando ampliandone come la prima così la seconda parte, e compiendone in certo qual modo l’azione con un racconto, il quale per altro aveva ad esser molto breve, sì da non costringerlo a CIMORASSASO di molto il termine prefisso.
Ma quale sarà stato gue Facconioa
La prima ipotesi che ci si presenta, è ch’egli pensasse alla rotta di Roncisvalle. Infatti nella stanza ottava del c. I.° dice;
- Dodici paladini aveva in corte . Carlo, e’l più savio e famoso era Orlando :
Gan traditor lo condusse alla morte In Roncisvalle, un trattato ordinando ;
e nelle 37-38 del XXII.°:
E Malagigi il dicea manifesto : Aspetta pur che sieno in ‘Roncisvalle, _'Quantunque il tradimento fia per resto,
Perchè la penitenzia arà alle spalle,
E Carlo, come i buon tre volte e sciocchi, Quando fia più che morto, aprirà gli occhi.
Piangerà tardi il suo caro nipote
E penterassi aver sempre creduto . A Ganellon, graftiandosi le gote;
Ma che val tardi l’ essersi pentuto ? Lascia pur volger le volubil rote.
A quella che nel ciel tutto ha veduto,
E anco al traditor d’ ogni fallenzia Serberà a tempo la sua penitenzia.
Da questi accenni, come già altri da uno consimile nel Furioso (1), dovremmo ricavare che il poeta in-
(1) Il Gaspary in Zeitschrift fur die rom. phi!., III, 233.
lu Qe tendeva chiudere il racconto colla catastrofe di Ron- cisvalle: se non ché stanno contro questa ipotesi e i due versi citati più sopra, e questi altri del canto XXIV.°®
Rinaldo e Fuligatto e Ricciardetto, Guicciardo, Alardo si ritroveranno, Né so quando si fia, non l’ ho ancor detto : Per molti error pel mondo insieme andranno: Non fu questo al principio il mio concetto (3).
Si oppone ancora il fatto che tra la prima e la seconda parte del Morgante è uno stacco, reso ancor più evidente della diversa età dei paladini. Quale adunque sarà stato esso ?
Rileggiamo alcuneottave sul principio del poema.
Diceva già Lionardo Aretino, Che s’ egli avessi avuto scrittor degno, Com’ egli ebbe un Ormanno il suo Pipino, Ch’avessi diligenzia avuto e ingegno; Sarebbe Carlo Magno un uomo divino, Però ch’ egli ebbe gran vittorie e regno, E fece per la Chiesa e per la Fede Certo assai più che non si dice o crede... Ma il mondo cieco e ignorante non prezza Le sue virtù, com’ io vorrei vedere; E tu, Fiorenza, della sua grandezza ‘Possiedi, e sempre potrai possedere Ogni costume ed ogni gentilezza, Che si potessi acquistare o avere Col senno, col tesoro, o colla lancia Dal nobil sangue venuto di Francia. (5, 7)
Od io m’inganno o in questi versi si accenna non già ad una storia quale si sia del ciclo caro- lingio, a uno dei tanti racconti che intessuti in- sieme ci dànno la tela della vita poetica di Carlo- magno, ma alla storia di lui. Ora « questa isto- ria », afferma il poeta, « è stata male intesa e scritta peggio »; Carlo non ha « avuto scrittor degno » di lui, nemmeno in Firenze, che tanto gli deve. Ri- leggiamo anche l’ ottava seconda del canto XXVIII.°:
: Perchè donna è costì, che forse ascolta, Che mi commise questa istoria prima; E se per grazia è or dal mondo sciolta, So che tanto nel ciel n’è fatto stima, Ch’io me n’andrò con 1’ una e l’altra volta Con la barchetta mia, cantando in rima, In porto, come io già promessi a quella, Che sarà ancor del nostro mare stella.
5 sheitha Cioni
PER, > RA Appunto perchè era «stata scritta male », gli . Commise Lucrezia di por mano a quella storia, ed egli sente di averla soddisfatta, quando sta per : ricondurre Carlomagno trionfante a Parigi e rias- “«ssumerne brevemente la vita. Anzi, compiuto il suo ‘racconto, teme di essere stato impari al soggetto, e se ne scusa (XXVIII, 129) e aspetta di ristorare il suo eroe « al tempo de} figliuol suo degno » (ib.) Io dunque mi arrischierei a far questa ipotesi, che cioè il Pulci pensasse da principio a dar com- pimento all’Orlando e quindi al Morgante, narrando brevissimamente la guerra di Carlomagno contro gli Aquitani, i Longobardi, i Sassoni, la conquista della Spagna. la rotta di Roncisvalle, la presa di Saragozza, in una parolaleimprese più memorabili dell’ imperatore, le quali egli realmente, servendosi della Vita et gesta Caroli cognomento Magni di Egi- nardo, compendia nelleottave 72-101 dell’ultimo can- to. Dopo per altro il canto XVI.°, siccome disegnava già diallargare l’ultima parte del suo racconto, prese a restringere il suo testo. E in questo possono benis- simo aver avuto parte iconsigli degli amici, ai quali parendo noioso l’antico poema, persuasero il Pulci a riassumere la seconda parte, e dare un notevole svi- luppo alla rotta di Roncisvalle. Immaginavano forse essi che saporito racconto dovesse uscire dalla fan- tasia del loro bizzarro amico! A questo parrebbero accennare le ottave 169-170 del canto XXV.” E ringrazio il mio car non Angiolino,
Senza il qual molto laboravo invano,
Piuttosto un Cherubino o Serafino, .
Onore e gloria di Montepulciano,
Che mi dette d’ Arnaldo e d’Alcuino
Notizia, e lume del mio Carlo Mano;
Ch’ io ero entrato in uno oscuro bosco: Or la strada e l’ sentier del ver conosco.
L’ oscuro bosco sarebbe il poema dell’ Orlando incompiuto. Così si spiegherebbero anche quegli accenni alla rotta fino dalle prime ottave del Mor-
0
gante, e quel suo dichiarare che da principio non
pensava ad un racconto così lugubre o, per usar la parola del tempo, tragico. Può anche darsi be- nissimo che egli abbia accettato di buon grado il consiglio degli amici, parendogli colla rotta di « ot- tenere, come nota il Rajna, quell’ appagamento del senso morale, quel soddisfacimento della legge eter- na in cui nella tragedia greca si posa alla fine il
tumulto sregolato delle passioni e il disordine da.
esse prodotto’ » (!). Ma prima di giungere al canto XXI.° per ragioni ch’è impossibile stabilire, do- vette mutar pensiero. Infatti come poteva dire sul principio del XXI.° di « veder la foce » ? Eviden- temente egli disegnava già di pubblicare il poe- ma in XXIII canti; infatti cominciando il XXIIL® dice dì essere al « levar delle tende », cioè alla fine della sua opera. Forse prevedeva di non po- terla continuare in un tempo relativamente vicino, costretto come fu « a vagare perle corti d’Italia » (2); ma dei « forse » la critica non sa proprio che farne, quando non sieno suffragati da buone ragioni: e queste, per la scarsezza dei documenti, mancano affatto. se
Parlerò ora brevemente del modo tenuto dal Pulci nel rifare i due testi più sopra citati, strin- gendo in poco il molto che dicono il Rajna e l’Hùb- scher, e qualche cosa aggiungendo di nuovo.
Ho già notato che fino al cantare XXXII. egli allarga il racconto dell’ Or/ando per modo che il Morgante riesce di una quinta parte più diffuso, laddove da quello in giù lo compendia nella pro- porzione inversa. Infatti nella prima metà allunga . le descrizioni che gli sembrano troppo brevi e sco- lorite, dà maggiore ampiezza al racconto, svolge le
© Prop. IV, 2°, 93. 2) Volpi, art. cit., p. 504.
passioni, specialmente l’amore, e sopratutto dà un notevole sviluppo alle parti discorsive, anzi talvolta lato debole del nostro poeta. Nella ‘seconda invece | tace particolari ora di poca ora di somma impor- tanza, racchiude in due o tre ottave episodî narrati alquanto prolissamente dall’ ignoto rimatore, ab- brevia o toglie addirittura alcune parlate.
Non si creda per altro che egli segua costante- mente questo criterio, sì che ogni racconto o scena o discorso apparisca nella prima parte allungato, compendiato invece nella seconda. Egli obbedisce anche ad una legge a cui non saprebbe, per dir così, ribellarsi, la legge estetica; epperò nella prima metà abbrevia ciò che gli pare prolisso, come svol- ge nella seconda ciò che dall’ esser ampliato riceve pregio artistico.
Raramente sul principio, più spesso nel mezzo “e verso la fine il Pulci rimaneggia il suo testo o ‘introducendo qualche tratto nuovo, o sopprimen- done qualche altro, che talvolta ricompare altrove, “o attribuendo a questo più tosto che a quel cava- liere- un’ impresa, o narrando diversamente la fine di un personaggio; e lo fa ora per ragioni artisti- che, ora per mero capriccio, qualche volta anche con danno del racconto, che nell’ Or/ando, sebbene espresso in forma più rezza, ha per.altro uno svol- gimento più compiuto. È curioso per altro notare che più d’una volta, dopo aver rimutato il testo, si dimentica o non si cura di mettere d’ accordo le parti successive del racconto con quello che pre- cede, sì che ne nasce una ‘evidente contraddizione.
Non è inutile osservare che con fine accorgi- mento di artista egli conduce a termine i racconti lasciati sospesi nell’ Orlando, e de’ suoi personaggi ha cura di raccontare le ultime vicende fino alla morte. Così è di Forisena e di Morgante.
19: Non rare volte vuoi in omgggio alla verosimi- glianza, vuoi per lo strano gusto di contraddire, più Spesso per celia, il poeta corregge il suo testo e lo dice con una cert’ aria di trionfo: lui, che della letteratura romanzesca ha una notizia tutt altro che sicura, e cade talvolta in errori! Del resto, conchiudendo, l’ uniformità .fra i due
testi è grandissima: in alcuni punti essi si corri-
spondono ottava per ottava, tenendosi il Pulci pago soltanto di ritoccare la elocuzione.
Non è così invece nella seconda parte del Mor- gante. Essa, tolto il canto XXIV°, di cui parlerò tra poco, è, come ho detto, un rifacimento dei canti XXIX-XL della Spagna in rima, i quali contengono un ampio racconto della disfatta di Roncisvalle; ma il poeta senza alcun dubbio ha avuto presente an- che le altre versioni di quella, cioé la Rotta di Roncisvalle, la Spagna in prosa, forse la cronaca del falso Turpino e la Chanson di Roland. Infatti
dove il Morgante discorda dalla Spagna in rima,
concorda invece otto volte su dieci con l’ uno o l’altro di quei testi, singolarmente con la Potta: essi ci dànno ragione di quasi tutti i tratti nuovi, delle ommissioni, delle dissomiglianze, degli spo- stamenti. Spesso in un numero relativamente pic- colo di ottave, vediamo intrecciarsî e confondersi più versioni ad un tempo.-Dovremo ammettere per questo che egli tenesse innanzi a sè tutti i poemi sopra citati, e seguisse ora l’uno ed ora l’altro, anzi tavolta componesse il suo racconto togliendo un concetto da questo, una parola da quello? Ov- vero sospetteremo ch’egli si servisse di una ver- sione a noi ignota, la quale fosse, come a dire, la
| sintesi delle altre? È ovvio ammettere col Rajna
ch’egli avesse molto famigliari quei testi, alcuni anzi, come la Spagna in rima e la Rotta, sapesse
quasi a memoria, sì da sostituire albo all’ altro colla massima facilità. Ma se nel far questo il poeta si lascia talvolta guidare dal capriccio, spesso, ar- tista finissimo, dà la preferenza all’ una od all’al- tra versione per ragioni estetiche. Così si spiegano
. anche quei técehi nuovi per i quali*le figure di alcuni personaggi ci appariscono come interamente rinnovate: ma su questo- ritornerò in un capitolo a parte.
Farò osservare da ultimo come si trovino no-
tevolmente allargate nel Morgante alcune parti del . racconto che i poeti anteriori avevano in qualche modo sciupate, narrando i fatti colla solita brevità: tali la presa e l’incendio di Saragozza (XXVIVII, 237- 265), il supplizio di Gano (XXVIII, 8-15).
Ho lasciato: intendese fin dal principio che una , piccola parte della materia del Morgante è estranea © ai due testi più volte citati. Tale l’episodio di Mar-
—gutte, la seconda spiedizione di Antea in Francia, il viaggio di Rinaldo e Ricciardetto dall’ Egitto in Roncisvalle, il secondo panegirico di Carlomagno.
I} Pulci stesso ha avuto cura di dirci donde egli abbia cavaso il primo di questi episodî, cioè dal libro di un tal Alfamenonne che « fece gli sta- tuti delle donne » (XIX, 153). Alfamenonnegè il biz- zarro cervello del poeta; ed invero niuno ha saputo indicar altra fonte a questo così singolare episodio. Il Geraldi nei suoi Discorsi intorno al comporre dei romanzi, (1) pone innanzi una congettura che il nome di Margutte sia stato foggiato dal Pulci su quello di Margites, tipo d'uomo grossolano e baggeo, che dava - il nome a un poemetto (di cui non ci restano che sei versi) attribuito ad Omero. Il
‘ Gaspany ha. tenuto conto di questa congettura.
(1) Venezia, 1551, p 10.
— 14 — prima bhe a lui essa era parsa probabile al Mi- nucci, il quale per altro, accorgendosi quanto è strano che un uomo come il Pulci avesse notizia di quel frammento, afferma nelle note al Ma/mantile racquistato (III, 66) poter e gli «averlo imparato dal suo dotto amico messer Agnolo da Montepulciano ».
Una qualche rassomiglianza parrebbe a me di trovare fra lo strano personaggio pulciano e quel Folaga di una novella del Sercambi « che non si sere’ sazio di un paiuolo di maccheroni »,e che diceva di sè ad un compagno: « Così come vedi la mia persona bella grande forte, così pensa che tutte.l’ altre virtudi cardinali regnano in me (1) »: ma chi ci assicura ch’essa non sia meramente ac- cidentale ® Del resto che cosa ci racconta mai di nuovo il poeta in questo episodio ? Ci descrive ben quattro cene più o meno frugali, il brutto tiro gio- cato da Morgante e Margutte al povero oste, la lotta da essi sostenuta contro i giganti per liberare Flo- rinetta, il riconoscimento tra questa e i desolati genitori: soggetti o molto graditi al Pulci o molto comuni nella poesia cavalleresca. Il Graf (?) nota che le burle di Margutte rassomigliano a quelle . « dei piacevoli uomini e*de’ begli uomini nelle no- stre novelle »: e potrebbe darsi benissimo che il Pulci gli attribuisse le gesta di alcuno dei suoi concittadini, così sottili ritrovatori di scherzi a danno dei gonzi. ;
Non ho a dire di più nè di meglio intorno al secondo di quegli episodî: esso dev'essere uscito dalla fantasia del poeta, quantunque, o meglio, ap- punto perchè egli afferma che quanto
l’autor... scrisse Par «he sia tratto dali’ Apocalisse (X.XIV, 105).
(1) Novelle inedite di G. Sercambi per cura di R. Renier, Torino, 1889 * u De capitivilate stipendiaru », p. 228 sgg. Anche Màrgutte parla delle sue virtu morali e teologiche na 152, 137).
_d Marguite in Margutte A. I, n. 1.
— 15 —
Forse gli parve troppo brusco il passaggio dalla prima alla seconda parte, e si studiò di preparare con quel racconto i lettori a udire i nuovi casi: certo è ch’esso fa corpo piuttosto colla rotta che colla parte antecedente del poema. Infatti prima ancora di ricondurre sulla scena Antea, egli ram- menta a sè stesso:
Conviene che ’1 mio canta» pur torni a porto (XXIV, 41).
Ma in realtà quell’ episodio è cacciato lì quasi per forza: si direbbe anzi che il poeta, pentitosi a un certo punto di avervelo introdetto, lo tronchi a. metà e se ne scusi col lettore:
Io lascio Antea da Parigi partire ‘ Sì tosto, e par ch’io gli tolga di fama, Chè mi bisogna un’ altra tela ordire
(XXIV 179).
“Anche dell’ episodio di Astarotte il poeta ci ha risparmiato la fatica di ricercare la fonte, e alle sue parole ha dato un colorito così serio, che per un pezzo tutti gli credettero, ed alcuni continuano a. credergli pur oggi. Essa sarebbe una versione della. rotta di un Arnaldo che
molto diligentemente ha scritto, E investigò dell’ opre di Rinaldo Delle gran cose fece in Egitto, E va pel fil della sinopia saldo Senza uscir punto mai dal segno ritto,
Grazie che date son prima che in. culla, Che non direbbe una bugia per nulla.
(XXVII 80)
Ma il suo insistere qui ed altrove (XXVI, 168) sulla veridicità di cotesto ‘Arnaldo, dà ragione di sospettare fortemente che quisi tratti di uno degli scherzi così famigliari al poeta; il quale « scozzo- nato » non meno di alcuni dei suoi personaggi, ha tirato in ballo anche il Poliziano, e da lui pre- tende di aver avuto notizia dello sconosciuto tro- vatore (XXV, 169) Ma l’astuto fiorentino una volta si è lasciato cogliere (se pur non ha voluto anche al-
— 16 — lora burlarsi dei suoi lettori); neli’ ottava settan- tesima quinta del canto XXVII° scrive: E Ricciardetto facea cose ancora Che l’ autor che le vide, nol crede;
quell’ « autor » non può essere che Arnaldo, il solo, per confessione del Pulci, che ci abbia conservato notizia delle prodezze dei due figli d’Amone in Ron- cisvalle (XXV, 115). Or bene: Arnaldo « venne dopo Alcuino», dice altrove il nostro (XXVII, 80), e que- st ultimo scrisse quando Carlomagno era già morto (XXVII, 79). come mai dunque potè quello essere presente alla rotta? Questa o involontaria o voluta contraddizione mostra quanto peso sia da dare alle parole del Pulci. Del resto ha già dimostrato il Rajna che i racconti attribuiti ad Arnaldo sono così remoti dalla produzione artistica provenzale ed hanno si fattamente l’ impronta dell’ animo e dell’ ingegno di messer Luigi (non mancano anche qui e la descrizione di due banchetti, e le discus- sioni scientifiche, e i contrasti più singolari), che evidentemente quegli è da mettere insieme con Alfamenonne.
Per questa stessa ragione non è da sospettare che sotto quel nome possa celarsi il Poliziano stesso. Tutt’'al più potrebbesi credere ch’egli avesse sug- gerito all'amico di far intervenire alla battaglia anche Rinaldo. Si leggano infatti questi versi :
Io avevo pensato abbreviare
La istoria, e non sapevo che Rinaldo
în Roncisvalle potrebbe arrivare.
Uu Angel poi dal ciel m’ ha mostro Arnaldo . ,.. E dice: Aspetta, Luigi, sta saldo.
Che fia forse Rinaldo a tempo giunto,
(XXV, 115.) Ma io credo (e cercherò di dimostrarlo quando abbia detto molte altre cose intorno al carattere di . quel paladino) che egli l'avrebbe fatto anche senza il consiglio dell’ amico.
Ì i
== Una certa probabilità pare che abbia l'opinione,
: per dir così, tradizionale, che nelle parti occupate
. dalle discussioni teologiche il poeta si sia giovato ‘dell’ opera altrui. 11 primo ad affermarlo senza recar ‘alcuna prova, anzi come un fatto di cui non s’avesse a dubitare; fu Torquato Tasso, che in una delle così- dette lettere poetiche (1) scrive: « Cito il Morgante, perchè questa sua parte (7! viaggio di Rinaldo e Ric- ciardetto dall’ Egitto in Roncisvalle) fu fatta da Mar- siglio Ficino, ed è piena di molta dottrina teologica ». Lo ripeteròno il Crescimbeni, il Quadrio, il Tirabo- schi e va dicendo; cercò di provarlo, ai giorni no- stri, il Panizzi (2) con ragioni che al Rajna parvero di qualche peso. Senonchè quest’ ultimo mostra col solito acume che la parte non spettante al Pulci de- v’essere ben piccola, e ad ogni modo domanda perchè non si debba pensare più tosto al Poliziano, cui il poeta si dice debitore di tanto(3). Egli ha ragione. 1 cinquecentisti che dubitarono della autenticità del
. . Morgante, tirarono appunto in ballo l'elegante autore
delle Stanze. Aggiungi che non s’intenderebbe co-
“me il Ficino, tutto intento a metter d’accordo il si-
stema di Platone col dogma cattolico, s’inducesse a introdurre nel poema pulciano quelle così sottili e delicate questioni filosofiche. Ma le altre notizie su- gli animali dimenticati da Luciana, e sulla esistenza degli antipodi, le avrà avute il poeta dall’ uno o dal- l’altro dei due umanisti? È opinione generale che egli esponesse opinioni del suo dotto amico Paolo Toscanelli. Altrove poi lo vediamo riportare un giu- dizio del Palmieri sull’essenza degli « spiriti folletti » (XXIV,. 109), e ricordar l’opera di Cecco d’ Ascoli (XXIV, 104). egli non era quindi estraneo agli studi
(1) Lettere di T. T., Firenze, 1853, v.I., 131.
(2) Orlando Fanamorato ecc. with an Essay on the rom. narr. Poet. of the Ital., v. I., 223 s
(3) Prop. IV, 23; 505.
N [> ere filosofici e teologici. Mi par dunque ovvio am- mettere che la scienza teologica ch’altri gli nega, egli abbia imparata nelle discussioni.che si faceva- no o in seno all’ Accademia platonica, o nelle pri- vate riunioni, dopo il pranzo, ogni qual volta in- somma si trovassero insieme alcuni di quei così 0- perosi umanisti del quattrocento.
Quanto al secondo degli « elogi » di Carlomagno, contenuto nelle stanze 68-114 dell’ ultimo canto, si crede comunemente sia tolto dalla Vila et gesta Ca- roli ecc. di quell’ Alcuino che il poeta afferma es- sergli stato indicato dal Poliziano (XXV, 169), e che, com’ è noto, è invece Eginardo. In vero là dove il Pulci dice che tra i Saraceni combattenti a Ronci- svalle » gente di Guascogna v’era » (XXVI, 47), cita appunto Alcuino, il quale solo tra i narratori della terribile battaglia fa menzione di quella (cap. IX). Si potrebbe anche aggiungere che dove afferma che
alcuno autor Di Ganellon non iscrive niente (XXVIII 16),
accenna probabilissimamente allo stesso supposto Alcuino. Osservo per altro che se quella è veramen- te la fonte, se ne serviva a modo suo, invertendo |’ ordine dei capitoli, spostando, sopprimendo, amal- gamando fatti e notizie, sì da far quasi sospettare ch’ egli attingesse non direttamente ad essa, ma a qualche compendio o rifacimento:
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II.
NATURA DEL « MORGANTE ».
Prima di volgerci dallo studio della contenenza a quello della forma, fissiamo bene la natura di questo bizzarro poema, perchè il conoscere con quali intendimenti il Pulci vi pose mano, ci chiarirà molti singolari caratteri di essa.
Sarebbe fatica presso che inutile raccogliere tutti i giudizî che intorno alla natura della composi-
.sione pulciana dettero i filologi antichi.I nostri pa--
dri giudicavano per lo più con criterî soggettivi, e però della critica letteraria non si può dire come della scienza, che ogni anno si contraddicesse a
una falsa credenza e si facesse un passo verso la .
verità. Quelle opinioni, scriveva Stefano Audin fin
dal 1831 (1), « sono dettate più da spirito di partito
che da sano giudizio », e son perciò varie e in gran parte false. Il Gravina, per recar qualche esempio,
(1) Osservazioni bibliografico-letterarie intorno ad una edizione fscono- sciuta del Morgante Maggiore, Firenze, 1881.
-— 20 — reputa il Pulci uno scettico nel cui poema « delle cose divine... sacrilegamente si abusa » (1); e un’o- pinione simile tennero il Fontanini, il Quadrio, il Tiraboschi, il Corniani tra noi, il Milton, il Meri- vale, il Voltaire, il Ginguené tra gli stranieri. Il Vol- taire poi è incerto se il Morgante sia « un’opera | seria o burlesca », e mentre non consente a coloro che lo reputano un poema giocoso, si meraviglia che il Cresimbeni lo ponga « tra i. veri poemi e- pici » (2).
Ma anche in tempi 'a noi più vicini l’opera del gaio fiorentino non fu giudicata rettamente. Il Cantù. non sa s’egli sia « uno stupido senza criterio, o un raffinato impostore che volti in beffa le tradizioni cavalleresche e le credenze religiose » (8); Gastone _Paris afferma recisamente che il Morgante è « la "parodia di tutti i poemi cavallereschi italiani ante. riori » (4).
Per tagliar corto, oggi quasi tutti consentono in uno stesso giudizio, che il Rajna compendia ed esprime con felice metafora. Dopo aver rilevato come « tra la materia e la forma vi sia un perpetuo contrasto, giacchè la prima generalmente parlando è al tutto seria, mentre la seconda lascia trasparire in ogni parte l’ ilarità e lo scherzo, che erano pro- prii dell’ indole del poeta », contrasto che nessuno aveva avvertito, egli dice: « i racconti del Mor- gante, inventati da uomini che riverivano le me- morie del tempo di Carlo Magno non meno di quelle di Roma, dovevano necessariamente serbare la loro impronta originaria anche fra le mani del cortigia- no di Lorenzo; ma questi dal canto suo, mentre svestiva loro gli abiti plebei per adornarli di vesti
(1) Della ragion poetica, II, 19.
(2) La pucelle d’' Orleans, prefazione.
(3) Storia d Ia lett. ital., p. 139 ed. quarta (Le Monnier, 1887). (4) Histoire DOCUgNE de Charlemagne, I,9
“
— 21 — di broccato, non poteva certo rattenersi gall’ im- brattare loro alquanto il volto, acciocchè, compa- rendo davanti al pubblico, muovessero a riso quanti li avessero a vedere » (1)..
L’ illustre storico delle origini dell’epopéa fran- cese pone questo giudizio come a suggello del suo studio su le fonti della prima parte del Morgante: sia permesso a me, sebbene indegno di sciogliergli i calzari, di mostraré con altri argomenti la verità di esso, e aggiungere qualche nuova osservazione
Tre sentimenti animano e informano, per dir
| così il mondo cavalleresco: la religione, l’amore, ila gloria. Il cavaliere cristiano non impugna la spada nè affronta i pericoli che per difendere I’ o- nore di Cristo vilipeso e la giustizia concultata, per. conquistarsi il cuore della sua dama, per procac- clarsi fama di gentilezza e di valore. Ora l’ animo del Pulci si è aperto ad essi? Se n’è egli sentito mosso e fino a qual punto? Oppure ha sparso il ridicolo e su la religione e su gli amori e su le audaci imprese ?
Nell’ opera di un letterato bisogna distinguere ciò che è prodotto del suo tempo da ciò che è pro- dotto del suo spirito; conviene separare la parte di sentimento che vi ha lasciato l’ età sua, da quella
che vi ha infuso coscientemente egli stesso: ricor- ‘dare insomma che egli sente e giudica e come figlio del suo secolo e come uomo particolare. Ora la società fiorentina del quattrocento, in mezzo alla quale si svolse l’ingegno e si spiegò l’attività let- teraria del Pulci, sentiva, gustava, ammirava la poesia cavalleresca? Per non dilungarmi troppo dal- l’argomento dirò che in Firenze la parte più eletta della cittadinanza non ebbe mai un’ ammirazione molto viva per questo genere di poesia, la quale
(1) Prop, II, 1°, 382.
— DI
dilettò piu tosto il popolo, il rozzo popolo sudante nelle officine e nei fondachi. Infatti qual’ è il poeta d’ arte che abbia posto mano a un racconto su gli eroi carolingi o bretoni? Son tutti letterati di piccola fama od oscuri cantastorie. La spiegazione del fatto è ovvia.In Firenze sì la ricca borghesia e sì la nobiltà, occupate nei traffichi o nella pubblica amministra- zione, avevano sentimenti e consuetudini ben diverse da quelle dell’aristocrazia di Milano, di Ferrara, di Mantova, che passava il tempo alle cortì dei prin- cipi o nelle sale dei palazzi baronali, in ozî eleganti, in feste, in torneamenti, menando una vita simile in qualche modo a quella degli antichi cavalieri. I Medici, è vero, specialmente Giuliano e Lorenzo, amavano i costumi gentili, anzi questi ultimi erano stati vincitori in due giostre celebrate da due chiari poeti loro amici; ma essi dovevano anche pensare a sollazzar il popolo colle mascherate, coi teatri, coi baccanali. D'altro lato i dotti, occupati nello studio dei classici e più tardi nelle severe specu- lazioni filosofiche, non potevano considerare la poesia cavalleresca buona ad altro che a sollevare lo spirito e snebbiare il cervello; e nella lor signo- rile coltura affettavano un certo disprezzo per quei fantastici racconti a cui il popolo prestava fede.
Tale era la società per cui, se si ha da crede- re a Bernardo Tasso, scriveva il Pulci: or chi non vede quale potentissimo infiusso dovette aver essa sull’opera di iui? come egli non poteva prendere in- teramente sul serio i racconti cavallereschi?
Fermo ciò, scrutiamo, fin dove è possibile, l’a- nimo del bizzarro poeta, e vediamo in primo luogo se e quanto egli mostri nel Morgante di sentire la ‘ religione. |
Anzitutto v’hanno nel poema tratti dai quali spira un vivo sentimento rellgioso. I paladini, spe-
— 23 — cialmente Orlando e Rinaldo, sono lieti quando pos- sono convertire re e popoli alla fede di Cristo, anzi bene spesso pigliano difficili imprese per questo solo fine; essi stessi invocano l’aiuto di Dio prima di combattere e lo rigraziano della vittoria, a lui solo rendendo l’onore di quella: di Cristo, della Vergine, dei Santi parlano il più delle volte con molta riverenza. Ma in questo il Pulci non ha fatto altro che ritrarre il tipo tradizionale del cavaliere cristiano, che non si sarebbe potuto rappresentare altrimenti senza snaturarlo. Tanto meno è da tener conto delle invocazioni in principio d’ogni canto, ch'egli accolse dalla letteratura popolare e man- tenne forse in ossequio alla religiosa Lucrezia, per invito della quale scriveva il Morgante. si
Noterò più tosto. ch’ egli si ferma a descri- vere particolarmente e con molta gravità la mor- ‘ te di cavalieri saracini e cristiani, quali Mar- covaldo (XII, 62 sgg.), Spinellone (XVIII, 75 sgg.) Orlando (XXVII, 116 sgg.). Le due prime descrizioni, una di nove, l’altra di dodici ottave, non conten- gono alcuno scherzo, anzi sono animate da un sen- timento religioso molto vivo. La terza poi, anche a giudizio del Rajna, è fra i tratti più seri del poema. Essa procede del tutto tragica per ben una quaran- tina di ottave, ed è così cristianamente bella, che ti par di leggere la descrizione della morte di un Santo. Solo dopo aver già detto che Orlando è sa- lito in cielo, il poeta si lascia ASADDAIS uno scherzo innocente:
di nuovo un altro tuon rimbomba, Che fu proprio la porta in sul serralla (XXVII, 158).
Noterò ancora come si trovino nel poema mas- sime e detti conformi in tutto alla dottrina evan- gelica (I, 50; XVII, 70; XXVII 118 ecc.), e come discor- rendo di cose religiose il poeta mostri profonda
Aa dr i
— 24 — conoscenza del dogma cattolico (XXV, 141 sgg.; 232
‘ Sg8.).
Ma vediamo il rovescio della medaglia. In pri- mo luogo non mancano nel Morgante, come nei sonetti e nelle lettere, scherzi su ]a religione. Uno dei più arditi è quello del canto decimo primo. Ri- naldo, bandito dalla corte, propone ad Astolfo di fare il malandrino, e gli dice:
E se San Pier trovassimo a cammin (Voglio) Che sia spogliato e messo a fil di A (20),
e l’altro risponde: Se vi passasse con sua compagnia Sant’ Orsola coll’ Agnol Gabrisllo
Ch' annunziò la Vergine Mari Che sia spogliato e toltogli DI ‘riantello (21).
Un’ altra volta lo stesso Rinaldo ad un romito che piamente lo saluta dicendogli « Ave Maria », risponde:
Se del pan ci fia;
Se non, lodato sia quell‘ agnol nero. (XXIII 42-43)
Nella descrizione della rotta di Roncisvalle si dice che i diavoli sono affaccendati a portar anime all’ inferno, e S. Pietro a introdurne in paradiso (XXVI, 90-91). Ma, omettendo per brevità altri tratti consimili, i più importanti per la nostra questione sono il “« credo » di Margutte (XVIII, 115 sgg.), la « novelletta » di Marsiglio (XXV, 42-45), le disquisi- zioni di Astarotte (XXV, 141 sgg.; 232 sgg.)
Il Margutte pulciano non crede a nulla, fuorchè al buon vino e ai saporiti bocconi; le sue virtù morali sono mangiare a crepapelle, rubare a man salva, falsificar firme, violar donne: diresti ch'egli rassomigli ad una bestia, a cui è stata data la ra- gione solo per commettere il male. Questo perso- naggio è uscito, secondo ogni probabilità, dalla mente del Pulci ed è il solo veramente importante ch’ egli con Astarotte abbia introdotto nel poema; ma è perciò necessario ammettere, come vogliono
— 25 —
alcuni, ch’esso ritragga alcun poco dell’animo del poeta, che parli in qualche modo a nome di lui? Il Pulci non può essersi compiaciuto di foggiare que- sto strano tipo per mero capriccio? Da un uomo come lui si può aspettare di tutto. Ad ogni modo come niuno di noi direbbe che Aladino, don Rodri- go, Troilo, Han d’Islanda rispecchino l’ animo del Tasso, del Manzoni, del D’ Azeglio, dell’ Hugo, così non mi sembra ragionevole affermare che il Pulci nella incredulità di Margutte abbia voluto, per quanto lievemente, adombrare lo scetticismo suo proprio.
‘ Maggiore importanza pare che abbia la novel- letta delle sei colonne che Marsiglio racconta a Gano come per iscusarsi s’ egli non acconsente a ricevere il battesimo. Ma conviene ricordare ch’essa sì trova già con leggiere dissomiglianze nelle Cento novelle antiche (LXXIII), nel Decamerone (I, 3), nel- l’ Avventuroso Ciciliano (III, 5); eppure il Boccac- cio, il quale la narra più distesamente degli al- tri, ricorda sul bel principio della sua opera «la frut- tifera incarnazione del Figliuolo di Dio »; e icom- pilatori degli altri due libri non furono certo te- nuti eretici o empi. Del resto al poeta, solito d’in- terporre al racconto lunghi discorsi, la novelletta doveva fare buon giuoco, e perciò solo egli l’ avrà raccontata.
Alcuno finalmente ha dato molta importanza alla scettica libertà con cui si discutono nel Mor- gante questioni teologiche; ma, osserva, il Foscolo in quel suo discorso sui poemi narrativi e roman- #eschi italiani che, come tutti gli scritti dì lui, con- tiene acute osservazioni, « nel secolo decimoquinto un Cattolico poteva essere sinceramente divoto e nondimeno permetersi un certo grado di latitudine ne’ teologici dubbi »(1); solo quando il dogma fu co-
(1) Opere di Ugo Foscolo, (ed. Le Mognier), X, 141.
- 269 — minciato ad osteggiare, la Chiesa, custode e depo- sitaria di esso, avocò a sè il diritto di definire le questioni religiose. Ed invero la prima edizione « corretta » del poema uscì nel 1545. Ma dov'è poi questa scettica libertà? Astarotte affermando che il ‘ Divin Padre sa anche quello che il Figliuolo ignora (XXV, 136) non dice nulla di eterodosso; interrogato come‘si possano metter d’ accordo la prescienza divina e la dannazione degli uomini, confessa a Malagigi di non saper che rispondere, e l’esorta ad adorare'senza più questo impenetrabil mistero (XXV, 157-158); infine quando dice che « non debbe dispe- rar merzede Chi rettamente la sua legge tiene » (XXV, 236), non si discosta dall’insegnamento della Chiesa, secondo la quale chi non ha ricevuto il battesimo; non egtrerà nel regno di Dio (chè son parole di Cristo), ma non è però di fede che debba precipitare all’ inferno.
Ma un altro argomento, per me di capitale im- portanza, mostra che il Pulci non si fece beffe nel suo poema della religione. Dice giustamente il Voigt che gli umanistiì affettavano un cotal disprezzo per le questioni teologiche, e « tutte le volte che ac- cadeva ad essi di occuparsi di teologia... la causa era generalmente sempre personale » (1). Or come mai ii Pulci, se fosse stato veramente un incredulo o, come oggi dicesi con brutto neologismo, un in- differente, avrebbe trattato colla maggior serietà del mondo, punti di teologia importantissimi? Non si dirà, spero, che lo facesse in ossequio a Lucrezia Tornabuoni.
Noterò da ultimo come il Pulci stesso rifiuti sdegnosamente l’ accusa d’ irreligioso mossagli da alcuni (XXVIII, 45), e come verso la fine del poema gli esca di bocca questa confessione:
(1) Il risorgimento dell’ antichità classica (trad. it.) II, 459.
—_ MV Questa nostra mortal caduca vista Fasciata è sempre d’ un oscuro velo, E spesso il vero scambia alla menzogna. Poi si risveglia, come fa chi sogna.
E chi ha scritto questi quattro versi, non in- degni del cattolicissimo Dante, può essere chiamato « le Voltaire de la fine du moyen fàge » (1)? «Concludiamo adunque che il Pulci, se non a- spirò mai in vita sua ad essere canonizzato, non isconfessò nemmeno la sua religione, e dallo scet- ticismo del rinascimento fu lontano per lo meno quanto dall’ ascetismo medioevale.
Ma gli scherzi sulla religione? E i sonetti, spe- ‘ cialmente quei tre che incominciano In principio era buio, Costor che fan, Poi ch’ io parti? Ricordiamo che il Pulci fu uomo bizzarro, originale, portato naturalmente allo scherzo; ch’egli scriveva per un pubblico il quale lo ascoltava o ne leggeva i versi per mera distrazione, e dove avessero fatto difetto le facezie e i motti arguti, si sarebbe annoiato; ch’egli in fine ne sparge a piene mani persino nelle let- tere a Lorenzo, il quale non ostentò mai disprezzo per la religione .e compose laudi e rappresentazioni sacre. Chi poi non sa la strana mescolanza di re- gioso e di profano, di sensuale e di mistico che si trova nei misteri del quattrocento? Scene della vita quotidiana, lazzi, buffonerie, scurrilità d’ ogni genere s’ intrecciano colle professioni di fede dei martiri, colle confidenti preghiere delle vergini mi- nacciate nell’ onore, colle pie invocazioni della Ver- gine e dei Santi. Non giudichiamo adunque del sen- timento religioso negli antichi colle idee dei nostri tempi, in cui se il numero dei credenti è sì scarso, la fede è però in essì più viva e il rispetto verso la divinità più fortemente sentito. Il Pulci potè scher- zare sulle cose sacre, fingersi scettico, esprimere
(1) Quinet, Révolutions d' Italie, I, 10.
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opinioni teologiche, come a qualcuno pare, un po’ libere, senza per questo essere un miscredente o aver in animo di mettere in burla la religione, di spargere il ridicolo sopra gli eroi francesi, sostenitori e vindici della verità di quella.
Prima dei cavalieri le dame: consideriamo bre- vemente come senta e rappresenti il Pulci l’amore.
‘ È noto che nei poemi carolingi toscani questo en-
tra come elemento secondario: tra il cozzo dei brandi s’ode, è vero, qualche nota carezzevole d’a- more, ma nulla fa presentire ancora che queste giungeranno in seguito a coprire lo strepito del-
«l’ armi. Così nell’ Orlando gli episodî amorosi sono
pochi e brevissimi, e il Pulci non ne ha aggiunto di
.nuovi: ha per altro rinnovati ed allargati note-
volmente quei pochi.
La storia dell’ innamoramento di Ulivieri e Fo- risena è svolta dal nostro con sufficiente ampiezza e trattata (se ne togli qualche motteggio di Rinaldo, al suo compagno) con molta serietà; anzi nel ca- pitolo che segue, io la recherò come esempio del modo con cui il Pulci svolge le passioni. Solo uno scherzo nell’ argomento del canto successivo di- strugge l’ impressione lasciata in noi da quel rac- conto. Ulivieri, dice il poeta,
. con poca coscienza Lascia che Forisena si tapini.
Con una tinta comica è rappresentato l’ amore di Ulivieri stesso per Meridiana; ma il fatto che il « gentil damigello » spasimante poco innanzi per Forisena, dimentica nel giro di pochi giorni l’una per l’ altra, dovette predisporre il poeta a scherzare sopra questa nuova fiamma.
Anche il buon Rinaldo s’ innamora in breve spazio di tempo dì due principesse pagane, Luciana ed Antea: ma se l’amore per la prima è un fuoco
È
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— 29 — di vaglia. quello per la seconda è vera e indomita passione.
._ Il figlio d’Amone e la leggiadra donzella, inna-. morati per fama uno dell’ altro, vedendosi sentono divampare nel loro cuore un incendio.
E cominciorno insieme a riguardarsi Ognun più che l’ usato intento e fiso: Rinaldo non potea di lei saziarsi,
Nè crede ch’altro ben Sia in paradiso : E la fanciulla cominciò ‘a pensarsi Che così bel giammai fussi Narciso ;
Dovùnque e’ va, gli tenea drieto gli occhi, E par che fiammò Amor nel suo cor fiocchi.
(XVI, 21)
Rinaldo pur nell’eccitamento della passione con- serva tanto giudizio da misurare il danno che glie 30.43) ò venire, ed incomincia un lungo lamento (XVI, 30-41) in cui se-la prende con Amore e gli rin- faccia tutti i mali di cui egli fu cagione a perso- naggi cospicui dell’antichità. Queste querimonie po- trebbero parere a prima giunta uno scherzo, ma chi le consideri attentamente, non tarderà ad ac- corgersi che il poeta ha voluto qui, come altrove fare sfoggio di erudizione. sE
Orlando da prima canzona il cugino, poi con belle ragioni cerca di persuaderlo a mettere il cuore in pace; in fine l’esorta a combattere animosamente contro Antea, per abbatterla, e così, secondo i patti, restar vincitore nella contesa tra il Soldano e i ca- ‘valieri cristiani. L’animo di Rinaldo è messo a sia prova, contrastando in lui il sentimento dell’o- rod e quello dell’ amore. Pur si presenta alla pugna, ma sul punto d’ incominciarla, getta lungi da sè scudo e lancia, e combatte colla spada. In- tervengono allora prima Ulivieri, poscia Orlando, e la lotta .tra il più forte campione della cri- stianità e la vaga Antea gli mette nell'animo una fiera battaglia. Buon per lui che niuno dei due resta vincitore! Poco dopo per amore di lei muove a
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| — 30 —
conquistare il terribile Veglio della Montagna; ma le avventure cui va incontro in seguito, gli fanno dimenticare la vaga principessa.
Delicatissimo è l’ episodio dell’ amore tra Man- fredonio e Meridiana. o
Il re saracino, innamorato della leggiadra fi- glia di Caradoro, da molti giorni assedia la città
Per .acquistar questa donna piacente (II, 14),
quando vengono al campo di lui Orlando e il suo fedele scudiero Morgante, coll’ aiuto dei quali egli spera di espugnarla. Ma poco appresso giungono ina- spettato soccorso a Caradoro, Rinaldo, Ulivieri e Dudone, ai quali s’ aggiunge poi lo stesso Orlando da essi riconosciuto ; e il disgraziato re vede il suo campo assalito dai più forti baroni francesi.
Manfredonio abbatte il novello amante di Me- ridiana, Ulivieri, sì che questa appicca combatti- mento con lui. Si presenta intanto di nuovo alla pugna Ulivieri, e chiede a Meridiana che gli lasci vendicare l’ onta ricevuta: ma l’altro così lo prega:
I Per Dio ti priego, baron d’ alta fama, Tu lasci me come amante fedele Perdere insieme e la vita e la dama, Che così vnol la fortuna crudele: Cercato ho quel che cercar suol chi ama, Trovato ho tosco per zucchero e mele : E poi che la mia morte ognun la vuole, Per le sue man morir non me ne duole. So ch’ io non tornerò più nel mio regno, So che mai più non rivedrò Soria, So ch’ogni fato m’ avea prima a sdegno, So che fia morta la mia compagnia; So ch’io non ero di tal donna degno, So ch’ aver non si può ciò ch’ uom desìa, ; So che per forza di volerla ho il torto, So che Sempre ov’ io sia, l’amerò morto. (VII, 70-71)
- A così pietose parole Meridiana depone ogni sdegno, consiglia Manfredonio per amore della sua gente, a ritornarsene nel suo regno, e, dandogli come ricordo un prezioso gioiello, gli dice:
v Se fortuna e ’1 ciel t’ ha pure a sdegno, Aspetta tempo e miglior fato e segno. Quest ultima parola al cor s’ affisse ‘A Manfredonio udéndo la donzella,
Che mai più fermo in diaspro si scrisse: Volea parlare, e manca la fevella ; ti dead Ma finalmente pur piangendo disse: Aspetta tempo, e miglior fato e stella, Poi ch’ al ciel piace, e tornati in Soria: Quanto son vinto da tal cortesia ! Quando sarà qnel dì, quando fia questo ? Or quel che non si può, voler non deggio. Io tornerò, per non t’ esser molesto ; Ricordati di me, ch’ altro non chieggio: Col popol mio, con quel che c’ è di resto, Chè molti morti pel campo ne veggio, Ritornerò senza speranza alcuna * Nel regno mio, Se così vuol fortuna.
E per tuo amor terrò questo gioiello, Questo sempre sarà presso al mio core: S’ io ho peccato, lasso meschinello,, Contro al tuo padre, contro al mio signore, Incolpane colui ch’ è stato quello Che m’ha condotto dove vuole Amore; E in ogni modo a te chieggio perdono, * E viver per tuo amor contento sono. (78-81)
Tacerò per brevità degli altri episodî amorosi del Morgante, e mi accontenterò solo di citare la pre- ghiera che Marcovaldo morente rivolge al suo uc-
cisore Orlando. |
Ma una grazia prima che morisse Al conte chiese quel gigante ancora: Che se per caso giammai avvenisse Che. parlasse 4 colei che lo ’nnamora, Che gli dicessi come il fatto gisse, E come sempre insino all’ ultim’ ora Di Chiariella a del suo amor costante Si ricordò come fedele amante. î
E che per merto di si degno affetto Dovessi qualche volta venir quella Dove il suo corpo giaceria soletto, E chiamassi, e dicessì : Chiariella, Ti piange, Marcovaldo poveretto, Qual ti parve nel mondo troppo bella ; Ch’ avea speranza, se costei il chiamassi, Che Y anima nel corpo ritornassi.
(XII 67-68)
; Lapoesiacavalleresca italiana anteriore al Pulci ‘ non ha nulla da contrappore a così delicata descri- . zione; e basterebbe questo solo tratto per mostrare ‘ che il nostro poeta sentì l’amore in ciò che ha di più nobile, e avrebbe saputo rappresentarlo tragi- camente, come il Boiardo e gli epici del cinque- cento, se altra fosse stata la tempra del suo animo, e diversa la società per la quale egli scriveva. Il Pulci poi non ha il linguaggio sfacciatamente li- bero del Cieco da Ferrara, nè si compiace delle. descrizioni classicamente pornografiche dell’Ariosto
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e del Tasso; scherza, è vero, qualche volta (VIII, 11; XVI, 37; XVIII, 131), ma sono semplici scherzi di pa- role. Anche là dove potrebbe sbizzarrirsi a sua posta e trattare il racconto con licenziosità, nulla dice che offenda la. morale. Spesso i cavalieri cristiani, e una volta anché i due nuovi amici Morgante e Margutte trovano nei boschi donzelle che ricondu- cono senza far loro il menomo oltraggio, ai rispet- tivi genitori. Il racconto delle fanciulle malmenate da Vergante è fatto delicatissimamente e non vi trovi pur una parola indecente. Così in quello della venuta di Rinaldo e Ricciardetto, fatti per arte magi- ca invisibile, al palazzo di Marsiglio, la quale ad altri avrebbe potuto dar occasione di scherzi laidi, non
‘contiensi parola men che onesta.
Potrebbesi credere che il Pulci si fosse tenuto in freno per non dispiacere alla sua patrona; ma non conviene esagerare cotesto potere che avreb-
‘be avuto la pia signora sul bizzarro poeta. Lascia-
mo che probabilissimamente quando egli s’ ac- cingeva a comporre la seconda parte del Mor- gante, certo poi quando scriveva l’ ultimo canto, . ella era già morta; ma nella prima parte di quello è pure qualche motto licenzioso, qualche técco un po’ verista, qualche scherzo sulla. religione; v’ è l'episodio di Margutte che occupa quasi due canti: evidentemente il rispetto e l’obbedienza dell’artista per la religiosa donna era alquanto limitato. Per concludere il Pulci non ha vòlto in ridicolo le storie d’ amore contenute nell’ Or/ando ; s’' egli in-
. fiora il racconto, quasi sempre sino nella sostanza,
di qualche scherzo, è solo per avvivarlo o per ti- more di non riuscir noioso a chi l’ascolta; chè anzi talora, come abbiamo veduto, il soggetto gli vince la mano e ne viene fuori un racconto interamente tragico.
I — 33 — i Ci resta a dir qualche cosa sul sentimento ca- ©‘ ag
valleresco, su quel sentimento complesso e multi fl -%.; 0 >
forme, di amore alla gloria, di ammirazione per le; nobili imprese, di generosità coi propri nemici, dr sollecitudine nel difendere i deboli oppressi, di fe-. deltà al proprio principe, il quale regola ed in- forma ogni azione, ogni discorso del cavaliere. Che nel passaggio della materia romanzesca ‘(dalla Francia nell’ Alta Italia e da questa in To- ‘scana, esso sia andato come evaporando, è ben noto; quivi anzi, dove la società colta poco pregiava quella letteratura e dilettavasene specialmente il volgo, i cavalieri avevano perduto la leggendaria. loro grandezza, s'erano accomunati, per dir così, col popolo, n’avevano preso i sentimenti, le opi- nioni. Ora il Pulci comprende questo sentimento! cavalleresco ? I suoi cavalieri sono tali nel vero, senso della parola ? e
Nel Morgante troviamo anche per questo rispetto. . Ia solita mescolanza di serio e di faceto, di comico : | e di eroico. I cavalieri si dànno troppo spesso pen- siero del cibo e della bevanda. Con quanto studio, smarriti in qualche selva, cercano di ammanirsi . un buon pranzo! Che scorpacciate, se hanno la ! ventura di sedersi alla mensa di qualche re pagano loro amico! Quando poi sono tormentati dalla fame, non pensano più ad altro che a soddisfare il loro bisogno ; non discernono più amici da nemici, cristiani da saraceni! E come si compiace il Pulci nel descrivere quei banchetti! Valga per tutti il rac- conto della cena fatta da Morgante e Margutte. presso il disgraziato oste, che si vide poscia così mal pagato! (XVIII, 150 sgg.) Ancora, essì non com- battono soltanto per zelo di religione, per amore di gloria, per sicurezza della persona, ma bene spesso a sfogo di risentimenti personali o per il
3
puro
— 34 — gusto. di menar le mani. Nelle battaglie non si mi- surano. soltanto coì loro pari, ma dànno addosso “anche alla ciurmaglia, tingono il ferro nel sangue dell’ignobil plebe; e se non hanno pronte le armi, dispensano pugni, calci, manrovesci, mazzate.
Essi poi commettono spesso azioni indegne d’un cristiano, non che d’un cavaliere. Rinaldo, sban- dito da Carlomagno, si mette a far il ladrone di. strada. (XI, 21); l'arcivescovo Turpino gode eserci- tare il poco onorevole ufficio di boia e va dicendo. . D’altro lato sono nel Morgante tratti ispirati al più nobile sentimento cavalleresco. Così, per recar qualche esempio, Rinaldo dichiara a Corbantech’egli. non combaite per acquistar «regno od impero», ma « per gentilezza e per natura » (IV, 54). Mattafolle, fatti un dopo l’altro prigionieri i paladini francesi che si trovavano a Parigi, non li schernisce, ma li tratta ca- . Vallerescamente(VIII,57sgg.). Erminione interviene come spettatore al duello tra Orlando e Rinaldo con poca gente « per gentilezza e per sua discre- zione » (X, 104), e Carlo con pari cortesia vuole ch’ egli stia alla sua destra (ib). Antea al proprio padre che voleva indurla a portar guerra a Rinaldo, risponde che «sempre più l’onor che l’util brama» (XVII, 22). Ricciardetto ed Ulivieri, imprigionati dal Soldano, anzi minacciati della morte se non, con- sentano ad adorar Maometto, rispondono:
Se ci darà pur morte il Suldan vostro Contenti siam morir pel Signor nostro.
(XVIII, 24).
Ù La cavalleria (dice il Cannello a proposito di un tratto consimile nel Furioso) che ragiona così, non può certo parere ridicola; nè può essere so- spettato di-averla voluto seppellire sotto il ridicolo che in tal guisa la fa ragionare » a
(1) St, della lett. it. nel sec. XVI, p. 114.
È 35 e
- Si corisideri ancora l’orrore che c ‘ispirano Gano, Fieramonte, Vergante, e la secreta compiacenza eon cui il poeta fa trionfare la giustizia oppressa o la verità disconosciutaà; e si vedrà come egli sia DER, lungi da voler parodiare la cavalleria.
Una grande importanza si è data all’ episodio di Margutte. Esso, ragionano i-eritici, è uscito dalla fantasia del poeta: qui dunque egli manifesta sè stesso apertamente o, per dirla col Gaspary, « senza veli »: ci fa conoscere la sua natura, i suoi senti- menti, Ie sue tendenze. Io vado un po’ più cauta- mente e ravviso in quell’ episodio una serie di av- venture colle quali il poeta studiatamente ha vo-: luto interrompere i noiosi racconti dell’ Orlando, per rallegrare i suoi ascoltatori. M’induce a. crederlo la considerazione che tale lo reputava il poeta stesso» Infatti Morgante pensa con piacere al gusto che proverà Orlando sentendo raccontare le prodezze / di Margutte (XVIII, 182), e incontratolo sotto le mura di Babilonia, si affretta a raccontargliele.
. Poi di Margutte molto ragionaro Come e’ mori ridendo il poveretto,
E come insieme pria s’ accompagnaro : E conta d’ ogni sua piacevolezza
XIX, 166) :
Insomma in quei terribili colpi di spada, in quei banchetti nei quali si mangia con tanta vo- racità, in quelle contese così grossolane, in quelle battaglie dove i pagani lasciano a cento a cento la vita, non è da vedere alcuna intenzione satirica. Il poeta parte si lascia trasportare dalla natura
sua, parte indulge alla disposizione d’animo con
cui i suoi uditori stanno ad ascoltarlo: perciò, pure avvertendo il contrasto tra l’idealità del mondo cavalleresco e il modo affatto volgare onde lo’ concepiscono i rimatori popolari, non lo toglie; anzi in gran parte ve lo lascia: dà ai suoi perso- naggi contorni veramente cavallereschi, ma esage-
hi
e nni
— 36 — . rando talvolta una curva, allungando od accor- ciando una linea, fa che le loro figure muovano a riso.
A dimostrar meglio la verità di quanto qui as- serisco, gioveranno alcune considerazioni.
Il Pulci fu invitato a comporre il Morgante da Lucrezia Tornabuoni, la quale certamente voleva da lui un poema serio. Egli vi si accinse col mi- glior proponimento, elo dimostrò nella protasi, che ho recata in parte nel capitolo antecedente. Nell’ ulti- mo canto poi (128, 129) torna ad insistere sulla gran- dezza del soggetto ch’ egli era stato invitato a trat- tare, e si scusa di essere stato impari ad esso. Come
si concilia tutio questo con l’intendimento di pa- rodiare la cavalleria ?
«Ancora, non so se sia stato notato come ne’ primi canti gli scherzi siano molto meno frequenti che nei successivi: evidentemente il Pulci voleva scrivere un poema più serio che non gli sia riuscito il Mor- garte.
E la Giostra, della quale non si può ormai du- bitare sia autore messer Luigi? La protasi del poe- metto è del tutto seria, ma nel mezzo e verso la fine quanti scherzi! Ne citerò qualcuno:
11 Riccio
Era si cotto che sapea d’ arsiccio,
D’ una sua dama. (XXXXIX)
Però prima che gli entrino in prigione,
Credo ch’ ogni giostrante, poveretto,
Arà voluto un bacio alla franciosa
Che in ogni guancia l’ asciassi pot (CI )
E dètte ch’ era già vespro l’ asciolvere Al Riccio, tal che gli scosse la polvere. (CXXI)
Ora chi s'è mai sognato di dire che questo poe- metto è una parodia ? Non dobbiamo ravvisare anche qui da un lato la bizzarra natura del Pulci, dall’al- tra l’influsso ch’ ebbe su di esso l’età sua?
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L'ARTE NEL « MORGANTE ».
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Dallo studio della contenenza volgiamoci a quel- lo della forma, e consideriamo in primo luogo co- me il Pulci disegni e colorisca il racconto.
Il nostro studio riuscirà più compiuto, se lo accompagneremo di opportuni raffronti coi poemi popolari toscani. Questi infatti, che un filologo del cinquecento nel suo umanistico disprezzo non sa- peva se dovesse chiamare « composizioni o mala- dizioni » (1), sono tanto inferiori al Morgante, che uno studio comparativo della forma metterà in miglior luce i pregi di esso. |
È questa poi la sola differenza che, fatta la de- bita parte allo spirito del poeta ed alla società in mezzo a cui visse, sia tra il Pulci e i suoi anteces-
(1) Varchi, Ercolano, Introd.
333244
=
sori. Infatti abbiam veduto che il gaio fiorentino non ebbe in animo di spargere il ridicolo sulle consetu- dini cavalleresche; tanto meno gli si può attribuire l’intenzione di rinnovare e trasformare la poesia ro- manzesca, come ebbe il Boiardo nell’/nnamorato; egli poi attinse presso che tutta la materia del suo poema alle composizioni popolari: è chiaro dunque che se « sovra gli altri com’ aquila vola », lo deve princi- palmente all’arte squisita con cui sa raccontare i fatti.
Prendiamo le mosse da alcuni caratteri più ge- nerali, per venir poi a dire dei particolari.
Pio Rajna, il quale nello studio del poema pul- ciano ha portato criterii nuovi e consentanei all’ o dierna critica letteraria, nota che mentre i poeti romanzeschi anteriori narrano le avventure degli antichi cavalieri in maniera affatto impersonale e son come l’eco incosciente e fedele dei racconti che alleggiano intorno alle affumicate officine e ai ru- stici casolari, egli si fa innanzi, parla volentieri di sè e dell’opera sua, corregge pretesi errori, sfoga il suo malumore contro gli avversari, biasima o lo- da le azioni de’ suoi personaggi.
Così nelle chansons francesi, come nelle compi- lazioni: franco-venete e toscane, invano cercheresti un accenno alta condizione dello scrittore, alle sue ‘ vicende letterarie, all’ opera ch’ egli ha tra mano; spesso ei ti lascia ignorare perfino il nome; e ben se lo sanno i critici, che nulla di certo ci possono dire, ad esempio, intorno ai due autori dell’ Entrée en Espagne o a quelli di molti poemi in prosa ed in versi che precedono l’ apparizione del Morgante. Tanto meno poi si credono lecito di manifestare giudizî e sentimenti nuovi o discordi da quelli del popolo per il quale scrivono; la materia s'impone, per cos) esprimermi, ad essi, dev'essere come foggiata da loro in quella data guisa. ici
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Il Pulci invece la padroneggia e le imprime la forma che più gli talenta. Tra un racconto e l’altro dà la berta ai suoi avversari o loda i propri ami- ci; parla de’ suoi intendimenti artistici; altera la leggenda in omaggio alla verità od alla verosomi- glianza; impugna l’autorità dei suoi antecessori; af- ferma o nega, secondo il capriccio; «in esso insom-
ma (conclude il Rajna citato) la poesia di oggetti- ,
va ch’ella era, diventa essenzialmente soggettiva (1) ».
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Questi tratti estranei in qualche modo al rac-
conto, non sono molto frequenti nella prima parte del poema; abbondano invece nella seconda, in cui il Pulci è men fedele a’ suoi testi. Si noti per altro: se qualche volta hanno l’aria di uno scherzo o d’una canzonatura, come il seguente:
Tanto è che io voglio andar pel solco dritto : Chéè in sul cantar d’ Orlando non si truova Di questo fatto di Margutte scritto, Ed ecci aggiunto come cosa nuova, Ché uu certo libro si trovò in Egitto © Che questa storia di Morgante approva,. E l’autor si chiama Alfamenonne, 5 Che fece gli statuti delle donne. (XIX, 153)
più spesso questa intenzione burlesca non c’è affat to. Invero il rimprovero che il poeta muove a Carlo per aver condannato a morte Astolfo (XI, 74 sgg.), è di una grande efficacia; l’osservazione che Ulivieri
non diede una ceffata a Gano poco avanti che que- sti andasse ambasciatore a Marsiglio, ma qualché
tempo prima (XXIV, 52), è molto ragionevole; l’apo- logia del vecchio imperatore, che egli ha gittatò nel fango (XXVIII, 16 sgg.), lo dimostra /oiîco quanto il nero cherubino dantesco; ciò che dice dei pregi e difetti del suo poema (XXVIII, 136 sgg.) è assoluta- mente serio. n Dimandiamoci: prevedeva il Pulci che il rac- conto avrebbe acquistato vivacità e brio.da questa felice innovazione? Io credo che egli. non ne avver-
TT "Top IV, 23, 91.
— 40 —
tisse l’importanza e si lasciasse solo guidare dalla sua bizzarra natura, congiunta per altro a fine gu- sto artistico: e forse fu meglio, perchè, se avesse dato soverchio sviluppo a questa parte, direm così, sog- gettiva, il poema avrebbe perduto quella spontaneità e freschezza per cui si ]egge e si ammira da quat- tro secoli.
Un altra notevolissima differenza tra il Pulci è i rimatori popolari quanto al modo di trattare il racconto, si cava dalle cose che abbiamo detto par- lando della natura del Morgante. Il racconto in quel- li è generalmente serio e, se si può dir così, tragi- co. I cavalieri hanno perduto bensì la loro leggen- daria grandezza e li vediamo andare all’osteria, in- vitarsi a pranzo, bisticciarsi per cose da nulla, come due trecconi di Mercato Vecchio; ma in fondo nulla fanno che ti possa muovere a riso. Il poeta si studia di trasfondere nell’ animo de’ suoi lettori o ascolta- tori l'ammirazione più o meno profonda che egli sente per essi, e sapendo di esser preso sul serio- ben di raro si lascia scappare qualche scherzo (1).
Di qui quella serietà, quello sforzo, quel calore, sto per dire, fittizio che, a chi abbia letto i poema neì quali veramente grandeggia il sentimento ca- valleresco, dà un senso di noia o fa increspar le lab. bra ad un sorriso. Il Pulci invece (son costretto a ripetere cose gia dette) scrivente per pubblico colto,
(1) Ecco qualche esempio di questi scherzi, che restano però sempre al- j8 superficie, non intaccano mai il racconto.
Un colpo gli donava /0r!, a Lion.) in sulla testa | Che gliel partì, come fusse una resta. (Orlando, V, 8/
Rinaldo, addolorato per la morte di Guidone, dice nell’ Ancroia : Lemosina per Dio giammai non fazzo,
Perchè m’ha preso (Gano) come pescie allazzo (IV, 104). Francesco da Fiorenza dice nel Persiano:
Se io volesse ogni cosa raccontare
Non basterebbe di carta tre quinterni
Alle gran cose che Rinaldo ebbe a fare (IV, 111). Nel Falconetto si legge di Rinaldo:
Rinaldo er’ huomo di buona cucina,
Per quel ch’io vedo, ei si cuocea (s'innam./ presto.
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scettico, quasi estraneo all’ideale cavalleresco, e tale in parte egli stesso, ti narra bensì un fatto che in sè non ha nulla di ridicolo, mostra sulle prime di credere fermamente a quei prodigi di fortezza, a quei mostri favolosi, a quegl’ incantesimi: ma poi con uno scherzo, con un osservazione, allegando l’auto- rità d’uno scrittore che non è mai esistito, fingen- do d’aver fatte lunghe ricerche prima di asserire alcunchè, ti dice chiaro ch’egli è presente a sè stes- so, e sa di raccontarti delle fole; e così dal confra- sto tra la serietà del racconto e il tono un po’ can- zonatorio del poeta nasce nell’animo del lettore un piacere estetico del tutto nuovo. Il racconto poi di per sè stesso poco atto ad interessarti, viene come avvivato dal narratore, non ti annoia più, e mentre lo ascolti con piacere, ammiri la felicità con cui quegli ha saputo raggiungere il suo intento. Citerò
qualche esempio.
E spesso avvenne ch’ un capo spiccoe (Morgante), E poi quel capo ad un altro percosse . Sì forte, che la testa gli spezzoe; E morto cadde che più non si mosse. . (VII, 51) E parve nel cader quel torrione /Vegurto) 7 Ch’ un albero cadessi di gran nave; Fece tremar la terra il compagnone, Non che la sala, tanto andò giù grave. Dovunque e’ giunse, lo”smalto e ’1 mattone Fracassò tutto, e ruppe una gran trave, Tanto che ’1 palco sotto rovinava, E molta gente addosso gli cascava..
Xx, 152 Poi (Morg.) prese questo /coccodr.) e s:agliollo nel Nilo : Un miglio o più dentro al fiume gettollo, Come un certo autor che ’1 vide, ha scritto.
3 (XIX, 109-110)
. In questo Il Pulci sì può dire che precorra il Boiardo e l’Ariosto. Certamente l’intonazione del racconto è ben più seria nell’ /nnamorato e nel Fu- rioso che nel Morgante, ma anche in quei poem! non mancano scherzi di questo genere, per mezzo’ dei quali l’autore « salvaguarda quasi (come disse
con frase felice il Cannello (!)) la sua superiorità
(1) St. della lett. it. nel sec. XVI, p. 115.
i 42 — di umanista...°di fronte ai romanzatori medioevali di Francia e nostrani » (1).
Il Morgante è il primo poema cavalleresco in cui abbia così largo sviluppo la parte discorsiva. I personaggi di esso ragionano, discutono, piati- scono, tengono lunghe orazioni, raccontano novelle ‘o frottole, intavolano discorsi d’ogni genere. Simili tratti non mancano così nella poesia narrativa in generale, come nell’ Orlando, nella Spagna, nella Rotta di Roncisvalle in particolare; ma il Pulci allunga di solito quelli che trova ne’ suoi testi e molti ne aggiunge di nuovi, tanto che essi costitui- scono una delle note caratteristiche del Morgante. (2)
Ora sono istruzioni religiose per convertire re e popoli a Cristo (IV, 95-98; XIV 14-18); ora professioni di fede (XVIII 115-142); ora villanie che due cava- lieri si scagliano prima di venire alle mani (VI, 34-36, XXVI, 67-68); ora parlate di ambasciatori e ri- sposte relative (X, 131-135; XXIV, 150-158; XXV, 28-38), ora esortazioni di generali ai loro soldati (XXV, 188:196; XXVI, 24-40); ‘ora discussioni teologiche o scientifiche (XXV, 134-161; id. 308-332).
(1) Ecco alcuui esempi: . Io vi narrerò nel’ altro canto Il fin de la battaglia dubitosa, Che, come ic dissi, cominciò all’ aurora E durò tntto ’1 giorno e dura ancora. (Inn. p. I; IV, 89) (Orl.) portava, come Tùrpin dice, - Una colonna intera tutta quanta D’ Anglante a Brava per la sua pendice. (id. p.II, V, 11) e
I tronchi fin al ciel ne son ascesi: Scrive Turpin, verace in questo loco, Che due o tre giù ne tornaro accesi, Ch’ eran saliti alla sfera del foco
(Fur. XXX, 49). Quindici o venti ne tagliò a traverso /Rodom./, Altri tanti lasciò del capo tronchi, Ciascun d’nn colpo sol dritto o riverso, Chè viti o salci par che poti e tronchi
(id. XVIII, 29).
. (2) Piacemi, a titolo di curiosità, riportare un passo di lettera di Ve- Yonica Gambara a M. Lodovico Rosso (24 Ag. 1522): « Chi risponderebbe a questa vostra montagna di ciancie, che farebbe stupire Morgante Maggiore ®n (Rime e lettere di V. G., Brescia, 1759, p. 121).
— 43 —
Queste ultime, come ognuno può immaginare, sono affatto estranee all’azione del poema, e perciò acquistano ai nostri occhi speciale importanza. È la prima volta che un poeta romanzesco in- terrompe il racconto per dire la sua intorno a que- stioni di teologia, di morale, di scienza, e fa par- lare i suoi personaggi in nome proprio; e certo niuno crederebbe che chi voglia fare la storia delle credenze religiosè e delle scoperte scientifiche, non debba trascurare «di leggere un poema cavalleresco. Notiamo intanto che per questo rispetto il Morgante del Pulci rispecchia molto bene le condizioni intel- iettuali di quel secolo in cui ogni parte dello sci- ‘bile fu in qualche modo sottoposta ad esame, ogni affermazione impugnata e difesa con pari ardore. ‘A me par di sentire in quelle dispute l’ eco delle lunghe discussioni che si facevano in seno alle ac- cademie o alle dotte riunioni private, ed a cui il Pulci avrà assistito coll’ interesse dell’ uomo che, non avendo coltura profonda, fa tesoro del 2apete ‘e delle opinioni altrùi.
Noterò da ultimo come il poeta, per quanto av- ‘veduto e destro a incatenare l’attenzione dei suoi ascoltatori, si lasci talvolta vincer la mano da co- ‘testo vezzo di cianciare, sì che alcuni discorsi rie- scono alquanto rettoricì e di poco effetto.
Dalle poche cose dette fin qui si cava una con- clusione importantissima, ed è che il Pulci primo tra i poeti romanzeschi stampa inel suo racconto l’ impronta non solo dell'animo e dell’ingegno suo proprio, ma anche del tempo in cui è vissuto, dando così maggiore attrattiva ad esso ed accrescendone l’importanza nella storia del pensiero umano. | Veniamo ora a dire di alcuni caratteri che si Tiferiscono più direttamente alla narrazione. —
Sarebbe fuor di proposito parlare del modo col
BLA
— 44 — quale il Pulci spezza e riannoda il racconto per tenere desta l’ attenzione del lettore, giacchè egli ha quasi sempre seguito fedelmente i suoi modelli, e il merito (per verità non molto grande) spetta agli autori di quelli. L’ episodio di Margutte, che è in- venzione del poeta, non s’intreccia punto colla nar- razione, e potrebbe togliersi senza che il filo di que- sta rimanesse spezzato. Egli poi non ha saputo col- legare le due parti del poema, le ‘quali son sempre membra disiecta di una stessa opera. Nel canto XXIV, dal quale incomincia appunto la seconda, il poeta riconduce sulla scena Antea, e immagina ch’ella, sbarcata con un esercito di trecentomila soldati in Francia per conquistarla, sconfitta se ne ritorni tantosto in Persia. Il Pulci non sa congiun- gere questo racconto con quello della rotta, altri- menti che così: Io lascio Antea da Parigi partire Sì tosto, e par ch’io gli tolga di fama, Chè mi bisogna un’ altra tela ordire XXIV, 179).
Se confrontando gli ultimi quattro canti del Morgante colla Spagna s’ incontra qualche sposta- mento, non ci vuol molto ad accorgersi che esso è stato quasi sempre suggerito al poeta da alcuna delle altre versioni della rotta. Il Pulci per questo ri- spetto non ha altro merito che d’averdiviso il poema in canti più logicamente che non l’autore dell’ Or- lando, il quale si mostra in ciò sî inetto, da far sospettare che la divisione sia stata eseguita poste- riormente e non seguendo altro criterio che quello del numero delle ottave. (1)
Il tono generale del racconto è essenzialmente popolare. Trovi infatti nel Morgante quella certa in- genuità nell’esporre i fatti, quella noncuranza della verità delle cose, quello studio di colpire il lettore
(1) Cf. per altro Rajna, Uggeri sl Danese ecc. in Romania, IV, 434.
—.45 e cogl’incontri più inaspettati, quel succedersi in- cessante di avventure, di episodî, di scene, che sono appunto i caratteri dei racconti popolari. Nè questo ci deve far meraviglia, se pensiamo che il Pulci è qualche volta così pedissequo imitatore de’ suoi testi, da tenersi pago soltanto di ritoccarne l’ elocuzione. Ma bene spesso egli assorge a una maniera più signorilmente grave e artisticamente perfetta; ed allora svolge le passioni, allarga e co- lorisce le narrazioni, descrive con pazienza da ar- tista,) tratteggia i caratteri.
« Di passioni nel Morgante (ha scritto il Desan-! ctis, nonéa far parola »(1): ma il giudizio dell’illustre; critico non è esatto. Avrebbe dovuto dire che mentre
nei rimatori toscani, come in generale negli scrittori popolari, manca affatto la rappresentazione del fe- __nomeno 2, il Pulci, conoscitore del cuore de’ suoi nrosi Pigliamo in esempio la descrizione dell’ innamoramento di Ulivieri e Forisena nell’ Or- lando e nel Morgante.
Nell’Orlandoil guerriero e la donzella comincia- no a guardarsi con compiacenza, e perchè il DEUDA
era bello oltramisura E sì regnava ìn lui molto ardimento, La dama il mira colla mente pura; lisieme innamorarono di buon talento. (VIII, 8)
Durante il pranzo i due giovani si lanciano
qualche occhiata, tanto che Rinaldo se ne accorge e motteggia il compagno (id. 9); poi dell’amore dei due non si fa più parola. Solo si dice che quando
ì tre baroni « per cammino si cacciaro »,
La damigella facea pianto amaro i (IV, 17).
. Nel Morgante invece, Ulivieri, giunto alla corte ‘di Caradoro e veduta Forisena, comincia
(1) St, della lett. it. Cap. VII.
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= i6 — cogli cechi a saetturla, E tuttavolta con seco sospira (IX, 51),
finchè Rinaldo, colpito anche lui dalla bellezza della pagana, si mette a canzonarlo e gli fa abbassare gli. occhi (56).
Quando i tre baroni stanno per muovere. con- tro. la, fiera, Forisena sale sur una bertesca per ve- derli; e Rinaldo intende troppo bene che * . . Amore è quel ch’a vederio (Ul.) lei mena (60); ma la descrizione dell’ innamoramento dei due incomincia propriamente dopo quello della lotta contro la fiera, ed occupa. ben undici stanze.
Forisena che
Dell’ amor d’ Ulivier s’ era avveduta (79),
s’ innamora. di lui, però che Amor mal volontieri perdona Ch’ e’ non sia alfin sempre amato chi ama (80),
e non può tenersi di vagheggiarne la bella perso- na. Un giorno poi, venuta a vederlo mentre gli medicavano la férita del braccio, la saluta con parole « ghiacciate e molli », ma con « amorosi sguardi », tanto che Ulivieri (par di leggere il Ca- pitolo. III ‘della Vita Nuova) ne prova una dolcezza inesprimibile.
Quando Ulivier sentì che Forisena
Lo salutò così timidamente,
Fu la sua prima incomportabil pena Fuggita, ch’altra doglia al suo cor sente L’alma di dubbio e di speranza piena ;* Ma confirmato assai par nella menté
D’ essere amato dalla damigella,
Perché chi ama assai poco favella (82).
La donzella lo ringrazia ch’egli abbia esposto la vita per lei, esi duole
del crudel artiglio Dell’ animale che per lei car gli costa (83),
onde il giovane cavaliere si sente da quelle parole « passare il cuore », anzi ne prova tal gaudio che
Are’ voluto innanzi al suo signore i Morir, chè poco la vita più prezza,
»
—_— 47 — 5 E poco men che non dissi « niente n; i i Pur li rispose vergognosamente : Io non féè cosa. mai sotto la luna. Che d’aver fatto ne sia più contento. S’ io t’ ho campata da sì rea fortuna, Tanta dolcezza nel mio cor ne sento, Che mai più simil'ne sentii alcuna: . So che t’incresce d’ oghi mio tormento; Altro duol c’ è che chià&ma altro conforto : . Così m’ avessi quella fiera morto (85-86). Forisena intende troppo bene quelle: parole, e parte dicendo tra sè: s E Di quest’ altro tuo duolo aneor mi duole; Forse non era il me’ che tu morisse:
Non sarò ingrata a sì fedele amante, Ch’io non son di diaspro o d’adamante (87).
Ulivieri intanto non può nascondere a sè stesso la passione che s’è accesa nel suo cuore, e nella penosa sospensione in cui trovasi, di non abban- donare Forisena o di venir meno ai suoi obblighi di cavaliere, chiede consiglio a Rinaldo, che lo sol- lecita a partire (88-90). Sulle prime egli acconsente, ma poi or con uno or con un altro pretesto diffe- risce il giorno della partenza, e intanto
. _. ora in torneamcnti ed ora in giostra — — ‘ Per piacere a costei, gran forza mostra (V; 2).
Finalmente i tre paladini si accommiatano da Corbante, cui hanno indotto a ricevere il battesi- mo: ma. Ulivieri i
fi avea potuto appena
« Addio » piangendo dire a Foriscena (16); la quale dopo aver seguito: coll’ occhio quanto più da lontano può, l’amato giovane, si precipita da una finestra del palazzo e muore (17).
È un racconto drammaticamente vivace, una pittura larga e colorita. di una passione amorosa, quale non ce ne avevano saputo dare fino allora i rimatori toscani.\Parimente l’amore di Manfre- donio e Meridiana, il dolore della madre di costei che la crede disonorata,la pena che prova Rinaldo quando Antea, ch’ egli ama, combatte con Orlando, son descritti con verità ed efficacia grandissime.
: — 48 — Anche la narrazione o rappresentazione di un I fatto. riceve dalla penna del Pulci colorito e movi- mento. Non già ch’ egli allunghi sempre e notevol- mente i racconti dell’ Or/ando e della Spagna: bene spesso, come si è veduto, compendia i suoi testi: ma anche allora la FAODISSOnEZIONe è più piena, più artistica. - Confrontiamo brevemente il supplizio preparato * = aRicciardetto nell’Or/ando, ad Astolfo nel Morgante. Carlomagno, stabilito che Ricciardetto muoia, lo fa menare nella piazza, in cui sono già
Gano di Maganza e altri cavalieri (Ort. XXII, 40/.
Vi vien poscia egli stesso ed ordina che sia . tosto impiccato, quantunque Gallerana ed il popolo tutto chiedano grazia per lui (3-5). La triste comi- tiva si mette in cammino e giunge sulle rive della, . Senna, dove Gano] Le forche fe’ rizzare a suo diletto (6), dolente di non poter rendere uguale servigio agli altri fratelli del disgraziato barone (7). Questi in- tanto piange la sua sorte (8), e i suoi lamenti sono uditi da Rinaldo e Astolfo, che escono dal loro na- scondiglio, assaltano e sbaragliano i Manganzesi e liberano il giovane cavaliere (9 sgg.). | Vediamo invece com’è condotto il racconto nel Morgante. Gano, dice il poeta, la mattina per tempo è levato E ciò che fa di bisogno ordinava ;
Insino al manigoldo ha ritrovato: Non domandar com’ e’ sollecitava (XI, 56).
I paladini fanno istanza a Carlo perchè si ri- sparmi la morte ad Astolfo, ma invano. Intanto
Gan da Pontieri in sulla sala è giunto, Dicendo a Carlo: Ogni cosa è già in punto (57);
e lo sollecita a compier l'esecuzione, ma prima con fine malizia gli offre di condurgli innanzi A-
RESSE (+ EA stolfo, barche egli si sfoghi a « sua consolazione » (58-59). Carlo rimprovera Astolfo (60-61) e gli rin- faccia il dolore di cui è cagione al padre, che
1 doloroso S’ erà fuggito, per non veder solo Afflitto vecchio misero angoscioso | rir sì tristamente il svo figliuolo (62);
e a questo pensiero il figlio s’ intenerisce: e: chiede perdono (62-64). Ma Carlo è irremovibile e 1’ infe- lice barone è condotto col capestro al collo per Parigi (65-69). È inutile far notare a questo punto il movimento drammatico dato dal Pulci al rac- conto, e com’egli tragga sapientemente partito dallo sdegno: di Carlo, dalla malizia di Gano, dalla infe- licità di Astolfo, dall’ affetto paterno di Ottone, per colorire il fatto che l’ ignoto rimatore disegna senza pure una sfumatura.
Intanto Orlando con Rinaldo e i fratelli si pre- parano a liberare il prigioniero (70-72). Qui il poeta si rivolge a Carlo e gli fa un lungo rimprovero, chiamandolo ingrato contro chi aveva combattuto tanto valorosamente per lui (73-79). Non manca la nota comica, cioè la ritrosia del disgraziato a salire sul patibolo, gl’ insulti dei Maganzesi, le beffe dei manigoldi che lo spingevano su (87-89); e il racconto continua per altre sette ottave tra serio e faceto,. destando sempre maggior curiosità. Finalmente . Rinaldo e gli altri dànno degli sproni nel ventre ai loro cavalli e giungono al luogo del supplizio. Il pro-
de barone con un colpo di spada abbatte
le forche e la scala, E in un tratto ogni cosa giù cala (102);
in breve egli e i cugini restano padroni del campo, ed i Maganzesi fuggono vituperosamente (103-108). È stato detto che i poeti mediocri raccontano, i grandi drammatizzano: lo stesso si potrebbe af- fermare dei rimatori toscani e del Pulci; essi nar- . rano, egli rappresenta; essi son semplici cantastorie,
egli vero poeta. ,
— 50 —
Artista finissimo si rivela il Pulci anche nelle descrizioni, ch’ egli lavora pazientemente e varia per modo che l’ una non rassomiglia mai all’altra. Ricorderò quella della burasca (XX, 31-38) poco in- feriore. alle tre consorelle del Furioso (II, 28-30; XVIII, 141-45; XLI, 8-22); quella di Antea (XV, 99-103), non indegna della penna di messer Lodovico; quella
. del mostro incontrato da Rinaldo e i compagni in
una selva (V, 39-40); quella del padiglione di Lu- ciana (XIV, 44-86). Si paragonino la prima e l’ulti- ma di queste colle corrispondenti dell’ Orlando (XLIV, 7-8; XXVIII, 7-14), e si vedrà di quanto il Pulci superi l’ ignoto rimatore..
Nel Morgante poi sì descrivono non meno di quindici tra battaglie ed assedî, una sessantina circa di combattimenti a corpo a corpo tra cava- lieri, e venti circa tra uomini e mostri: eppure quanta diversità tra essi! che ricchezza di fantasia dimostra il Pulci! a quanti spedienti ricorre per non generar noia in chi l’ ascolta!
Ad accrescer poi la vivacità del racconto con- corrono mirabilmente quei tratti comici ai quali ho accennato sul principio di questo capitolo. Tal- volta sono scherzi, barzellette, motti arguti: più Spesso semplici osservazioni, circostanze meramente accessorie di tempo e di luogo o d'altro, ma tro- vate così felicemente, espresse con tanto garbo che nulla più! Come non ridere leggendo che Verguto e Morgante
Due ore e più bastonati si sono (k, ’
che MOFGONE inginocchiatosi innanzi a Carlomagno
ginocchion lo superava,
E così Carlo la man gli In
t) e via sia? Simili contrasti non vengono in mente ai rimatori toscani, o non sono resi da essi con
— 51 — ‘pari vivacità, sì che il racconto riesce monotono e scolorito. Bisogna per altro avvertire che il Pulci sa dare molto opportunamente cosiffatti tocchi, e perciò in quei tratti nei quali l’intonazione del racconto è eria, ne cercheresti invano. Così è, per esempio, ella descrizione del combattimento tra Antea e Orlando presente il sire di Montalbano innamorato di lei.(XVI, 76 sgg.), in quella della morte e dei fu- nerali di Aldinghieri (XXII, 139 sgg.), nel discorso di Orlando ai soldati prima della battaglia di Ron- cisvalle (XXVI, 24 sgg.) e nel racconto della morte ‘di costui (XXVII, 116 Sgg.). | Nel Morgante incominciano anche a delinearsi i caratteri. dei personaggi. Non voglio già dire che il Pulci sia in questa parte eccellente; ma non si può, come fece il. Desanctis, disconoscere che alcuni di quelli hanno nel poema una fisonomia loro propria e molto più spiccata che nelle compo- sizioni anteriori. Così è di quei personaggi che il Pulci ha curato con ispecial interesse, quali (non tenendo conto di Margutte) Gano, Morgante e so- pratutto Rinaldo: a questi egli ha dato particolar rilievo, sì che-li riconosceresti tra cento alle loro azioni e ai loro discorsi. Ma dimostrerò più larga- mente quanto qui affermo, in uno dei prossimi ca- pitoli. Li A questi pregi che lo collocano molto più in— alto che i rimatori toscani, ne aggiunge il Pulci un altro, l’ unico forse che i critici, dal Varchi sino quasi ai giorni nostri, non abbiano disconosciuto nel Morgante (1); ed è ilbrio e l’efficacia dello stile,
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(1) Avrei dovuto dire « fino ai nostri giorni »_ senz'altro. In un’ an- tologia scolastica (Comp. della nuova crestom. ît. dì Tallarigo e Imbriani, Napoli 1884, V. I, 339) sta scritto : « Nè gli si può (al Pulci) attribuire altro merito, tranne un po’ di vivacità nella dizione »! Vero è che subito dopo Si confessa che « questo non é poco n.
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— 52 — dla ricchezza e la proprietà della lingua. Egli -dice “una stessa cosa in cento modi diversi e tutti egual- mente eleganti e propri; allieta il suo discorso con proverbi e motti e locuzioni fresche, spontanee, vi- vacissime: hai ancora nell’orecchio il suono dell’una, che'già egli scappa fuori con una seconda, una terza non meno efficaci. Sopf'atutto poi non riconosci nel Pulci alcuno sforzo: parla con una facondia inesau- ribite;, - senza correggersi mai, senza quasi riflettere alla proprietà della frase e del vocabolo, tanto è sicuro di sè.
Se non che l’elocuzione nel Morgante è al tempo stesso così bizzarra, che a rilevarne tutti i caratteri occorrerebbe più lungo discorso: ne farò dunque argomento di un capitolo a parte, e concluderò il presente.
Da alcune delle differenze che abbiam detto tro- varsi fra il Pulci e i suoi antecessori, non vorrei si arguisse che egli sia da porre più tosto a canto al Boiardo ed all’ Ariosto, che a questi ultimi. Egli è il il primo che abbia preso a rivestire di forma ar- tistica gli scipiti racconti deijfrimatori toscani, e tra- sformato il poema. popolare in opera d’arte, ma « l’opera sua, avverte il Rajna, (!) rassomiglia di “ gran lunga più all’Ancroia e al Buovo che all’Inna- morato ed al Furioso ».Taluni nel cinquecento pre- posero il Morgante a quest’ultimo (2), ma è innegabile che manca al Pulci quella squisitezza ed universalità di sentimento, quella percezione del fenomeno psico- logico così acuta, quella conoscenza delle letterature classiche, quella signorile eleganza per cuiipoemi déi due gentiluomini ferraresi si accostano ai ge- neri ed al modelli classici. Egli invece sta come
(1) Prop. IV, 2, (2) Cfr. Varchi, PATER introd., e Salviati Infar. secondo, Firenze,
1588, p. 86 sgg.
mus 9 di mezzo tra il volgo e i letterati, tra poesia popo- lare e poesia d'arte; e raccoglie in sè. le due cor- renti della letteratura del quattrocento, mentre pre- para il romanzo cavalleresco agli SBIOnAleI trionfi
del cinquecento.
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IL CLASSICISMO NEL « MORGANTE ».
Prima di studiare l’ elocuzione nel Morgante credo utile stabilire quale influsso abbia avuto so- pra di esso la letteratura classica.
Chi ha notizia dello svolgimento della poesia cavalleresca in Italia e conosce pur mediocremente lo stile di messer Luigi, giudicherà infruttuose od inutili queste ricerche; ma se i poenai antichi nel ri- nascimento si leggevano da ogni persona di mez- zana coltura, e in Firenze non meno che altrove; se d’altra parte la tradizione classica compenetra ‘ più o meno qualsiasi produzione artistica di quel tempo ; pare ragionevole che studiamo le tracce di classicismo che fossero per avventura nel Mor gante. Esse ci permetteranno anche di misurare la cultura classica del bizzarro poeta.
Trattandosi di reminiscenze, di accenni, di ri- chiami diversissimi, sarà utile raggrupparli se-
ae 56 ne condo un certo ordine, fermandosi a fare, volta per volta, quelle osservazioni che sembreranno più
opportune.
Il Pulci, seguendo l’ esempio dell'ignoto autore dell’Orlando (1), alla ottava d’ invocazione ne fa se- guire qualche volta una seconda, in cui accenna alla stagione, al giorno, all’ ora nella quale cadono gli avvenimenti che sta per narrare. Queste descri- zioni, che nell’Or/ando nulla o ben poco hanno a fare colla mitologia, chiamandosi semplicemente « Apollo » (c. VII) o « Febo »e(XIV, XV, XX) ilsole, « Venus » (XVII, XXVI, XLVI) la stella di Venere; ovvero nominandosi con determinazioni molto con- fuse Titone (XXIII, XXIX, LXIII), Bacco (XXXVIII), Fetonte (XLIII); nel Morgante sono spesso intessute d’ immagini e concetti mitologicî. Ne citerò qual- cuna: #
Era nel tempo quando Filomena
Colla sorella si lamenta e plora,
° Chè si ricorda di sua antica pena,
E Re, boschetti le ninfe innamora,
E Febo il carro temperato mena,
Chè ’1 suo Fetonte l’ ammaestra ancora,
Ed appariva a punto all’ orizzonte, *
Tal che Titon si graffiava la fronte (I, 3). Era il sol, dico, al balcon d’ Oriente
E l’aurora si facea vermiglia
E da Titon suo antico un Do00 assente ; Di Giove più non si vedea la figlia (VI, 2). (1)
Alcune sono reminiscenze di poeti nostri, come la
seguente :
Era nel tempa ch’ ognun s’innamora E che a schergar comincian le farfalle ecc. (IV, 2),
che ricorda il sonetto del Petrarca: Zefiro torna el bel tempo rimena,
Anche nelle descrizioni di donne si compiace il poeta di ricorrere alla mitologia. La più bella fanciulla del Morgante, Antea, ha i capelli di Danae,
.,(1) L’ opinione espressa dal Dafne (Prop., Il, 1*, 358/ che altri divi- desse il poema in cantari, e v’interpolasse le invocazioni, le descrizioni e
i commiati, fu poscia da lui stesso abbandonata (Uggeri il Danese ecc. in.
Romania IV, 434). (1) Altri esempi: IX, 2; XV, 36; XXVI, 3.
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il volto di Venere, il naso di Giunone, le spalle di
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Pallade, le braccia di Diana, il busto di Proserpina,
i fianchi di Deiopea:
E vadinsi le ninfe a ripor tatte i _ Che certo allato a questa sarien brutte (XY, 101);
nè di queste dee cita il Pulci soltanto il nome, ma di ciascuna enumera i pregi dî corpo e di spirito. Meglio dimostrano la larghezza delle cognizioni mitologiche del Pulci le querimonie dello sfortu- nato Rinaldo contro Amore, le quali, come ho no- tato più addietro, si devono probabilmente a una cotale velleità di. mostrarsi erudito. Eccone un sag- gio: | Non ti gloriar, se col tuo arco Per donna si gentil m'hai preso al varco, Chè non sarebbe ingannata Europia, Non si sarebbe trasformato in toro Giove, e mutata la sua forma propia, Né Ganimede rapito al suo coro, S’ avessi visto sì leggiadra copia : . E non sarebbe Dafne un verde alloro
Se Febo avessi veduto il dì Antea, Chè innamorato: Aspetta, pur dicea (XVI, 30-31);
e via di questo passo per altre sei ottave, in cui si accenna alle storie di Perseo, di Fineo, di Ippolito, di Euridice, di Aretusa, di Atalanta, di Narciso, d’ Ero e Leandro, di Polifemo e Galatea, di Baeco e Arianna, di Teseo ed Ippolita, di Piramo e Tisbe.
Dagli dei, per non turbare la gerarchia mito- logica, passiamo ai semidei, ai leggendarî eroi del- l’ antichità. Anch’essi sono largamente rappresen- tati nel poema del Pulci, in cui si ricorda la robu- Stezza di Ercole (X, 32), l’orgoglio e il terribile a- spetto di Briareo, di Efialte, di Capaneo, di Anteo (XV, 24; XXIV, 124), la superbia di Pantalisse (XXVII, 138) ecc. |
È curioso notare come il Pulci comunichi, per
i dir così, codesta erudizione mitologica ai cavalieri ; Cristiani e saracini, alle regali donzelle pagane, a
personaggi come Morgante, perfino ai demonî. In-
158 fatti nel canto I (72) Orlando ricorda la. storia di Nes: el II (38) Morgante tocca della morte di Euridice, nel XVII (13) Antea nomina Tisbe, nel XIX Fiorinetta si paragona a Proserpina, nel XXV (322) Astarotte parla di Medusa. Da questi semplici accenni non si può certa- mente arguire che il poeta conoscesse le opere della letteratura antica nelle quali son contenute le ge- sta degli dei « falsi bugiardi »; nè il citare ch’ e- gli fa Demostene, Quintiliano, Cicerone (XXII, 153), Lucano (XXIV, 129), Alceo, Museo (XXVIII, 146) cì . permette di asserir nulla in proposito. Io anzi du- \bito forte che buona parte di cotesta erudizione mitologica egli derivasse dalle opere latine e vol- gari del Boccaccio, per esempio dall’ Amorosa vi- sione, che nei canti XV-XXIX contiene le favole amorose della mitologia greca citate più sopra. Pure v’hanno qua e là alcuni tratti i quali mostrano che alcune di quelle non gli furono ignote. Ai poe- mi omerici pare si ricolleghino i passi segnenti: E seppellito fu con tantò onore
Che tanto mai non ebbe Ettor TEOIANO XXII; 151);
Omer troppo esaltò gli error ai Ulisse
E del figliuol famoso della Da (Achille)
V, 2);
alle Metamorfosi (IV, 137 sgg. e XI, 750 sgg.) questi
altri: O come fece appiè del gelso moro Piramo, quando Tisbe lo chiamoe Ch' era” già presso all’ ultimo martoro XII, 69); Esaco afflitto con molta molesta Cercando Esperia ancor sott’ acque ton re ,
all’ Eneide (I, 81 sgg.) il sefnanile ;
Eol pareva che tentassi la procella E che picchiassi la porta serata XIV, 62).
Ma VI2000 cosa di più ci dice questo passo:
E disse (Marsilio) come Diomede a Turno, Che si pentiva del tempo passato XXIV, 17);
sebia il secondo verso ricorda il virgiliano: Nec mihi cum Teucris ullum post eruta bellum Pergama.: nec VOCCERIA memini laetorve malorum. . (Aen., XI, 279-280). : . Così il primo verso -dell’ottava ‘105 del canto. - * XXVII contiene un emistichio virgiliano (o terque quaterque beati. Aen. I, 94); la similitudine
Come Corebo parve infuriato (Rin J . Per Cassandra, la nette, meschinella (XXVII, 251) risponde al verso dell’ Eneide (II, 407)
Non tulit hanc speciem furiata mente Corocbua; ilverso. Ea
Chi aeglierabiie a Gallo giammai versi ? (XXVIII, 152) traduce un altro emistichio di Virgilio nell *ecloga Gi neget quis carmina ‘Gallo? (v. 3)
Noterò ancora che in un luogo (XXVIII, 138) i
poeta nomina Tirsi.e Dameta, i due interlocutori della prima ecloga virgiliana; e altrove traduce un breve passo dell’Eunuchus di Terenzio. Ecco i due testi :
Tanto era ancor d’ Orlando LODAGIa to (Mars.}.: Credo piuttosto vorrebbe una fromba,
Come disse Trason già col suo Gnato,
Per trar dircosto al sicuro la romba -
Perchè quant’ è più il traditor sottile,
Tanto più sempre per natura è vile (XXVII 39).
- Fundam tibi nunc nimis vellem dari Ut tu illos procul hìnc ex occulto caederes (1V, 7868-87).
Farò notare da ultimo la stretta somiglianza tra questo passo del Pulci e il corrispondente di Cicerone:
Cesare disse che se jusiurando...
Romper si debba, lecito era, quan: ndo Si fa per tener regno o per vendetta (XXV, Sl
In ore semper grecos versus de Phoenissis ha bebat (Cesare)...
u Nam si violandum est A ISEDAUCI gratia Violandum est...n (De off. III, 21).
Insomma non mi pare anviscniato il concludere che il Pulci delle opere classiche conobbe le più comuni; si vede anche dalle lettere, nelle quali
egli scappa fuori spesso con citazioni latine. (Nono
— 60 — | i conobbe invece direttamente le greche, chè questa
Vi e TT
due na
lingua gli fu, almeno fino al 1472, ignota. Si chia- risce facilmente da un passo di una lettera al Ma- gnifico (1). i
Passiamo ora a considerare un altro ordine di reminiscenze classiche nel Morgante.
Il Pulci, come qualche volta i rozzi cantastorie del suo secolo, paragona spesso i suoi cavalieri ai grandi guerrieri dell’antichità; e Annibale e Marcello (XV, 23), Cesare, Scipione, Paolo ‘Emilio, Camillo (XXII, 132) sono spesso chiamati a render testimo- nianza del valore dei baroni. Orlando poi, a chi gli dice di sonare il corno, risponde con flerezza pari a quella del Roland francese (Chanson de Rol. LXXXIX e SE)
Se venisse adesso Cesare, Scipio, Annibale e Marcello
‘E Dario e Serse e Alessandro appresso... Non sonerò perché e’ m’ aiuti Carlo (XXVI, 15).
Ma non sono questi i soli accenni storici nel Morgante. A Carlo che ha ordinato d’ impiccare Astolfo, ricorda il poeta i mali che afflissero Roma per essere stata ingrata Scipione Africano (XI, 75). Paragona l’entrata trionfale di Gano in Saragozza a quella di Camillo in Roma (XXV, 24), e il dolore dei Francesi per la morte di Orlando, a quello dei Romani per Scipione (XXVII, 221). Ad Orlando, in- cuorante i soldati a combattere coraggiosamente, fa dire: .
E se il pam del dolor mangiato avete, Stasera in paradiso cenerete,
Come disse quel Greco anticamente Lieto a’ suoi già. ma disse: Nello inferno (1); XVI, 27-28)
A
(1) Cfr. le lettere IV, XVII, XXXIII dell’ ed. Bongi (Lucca, 1886/. i (1) Hora io mon so se... habiamo in nostra vecchiezza a favellare 1a0- sti col turcimanno, et aparare greco (lett. da Foligno in data 20 Maggio 1472). (1) Si noti come i versi del Pulci traducano quasi le pamole di ‘Ci- cerone : Hodie apud inferos cenabimus (Tusc, I, 42), .
(i e più sotto gli fa ricordare il valore dei Deci (32), la gloria degli Orazî de’ Curiazî, di Curzio (38). Dice che ad Antea, ogni qual volta si sedeva a mensa, Gli era: il pan sottosopra innanzi volto, come già a Dario, per ricordarle l’offesa rice- | vuta dai Francesi (XXIV, 9): che Carlomagno, dopo la rotta di Roncisvalle, ordinò tutti vestissero a lutto,
Come Pericle fe’ vestir già Atene (XXVII, 221).
Per finire, i baroni consigliano l’imperatore, ‘im- padronitosi di Saragozza, a dare addosso ai Pagani, e presili, venderli schiavi, come fecero Vespasiano e Tito i popoli da loro asserviti (XXVII, 227) E si noti: il Pulci che scherza a spese, non che dei per- sonaggi cavallersechi, dei Santi, non volge mai in ridicolo le parole o le azioni degli antichi eroi, non le ricorda in maniera che la sola citazione riesca per sè stessa uno scherzo; anzi non ricorre alla Storia se non quando narra seriamente alcun fatto. Egli insomma, come in generale i poeti anteriori, incominciando da quel Guittone aretino che rim- piangeva l’onorato antico uso romano (Canz. Ahi lasso! ora è stagion) sente ammirazione per il mondo antico, spectalmente romano: e con quei ricordi si direbbe quasi che tenti innalzare il suo canto. Che cosa poi si può affermare della erudizione: storica del Pulci? È essa puramente superficiale o profonda e acquistata collo studio? (1) Secondo me il‘ nostro poeta conosceva sufficientemente bene la sto- ia antica. M' induce a crederlo il vedere ch’ egli riporta notizie affatto particolari e le quali difficîl- mente si apprendono dalla conversazione dei dotti. Per esempio, nella ottava 321 del canto XXV dice che Roma vide per la prima volta ne’ giuochi pom-
(1) Si confronti anche qui la Giostra: in ossa son frequenti gli accen- ni storici.
— 62 —
peiani « certi strani animati detti cefi », notizia re- gistrata soltanto da Plinio (Hist. Nat., VIII, 19); nella 35 ricorda che Scipione consigliava i suoi concittadini, per il bene della città, a non di- struggere Cartagine; nelle 213 e 223 parla con e- sattezza della topografia della Libia, e tocca del mo- stro ucciso da Attilio Regolo lungo il fiume Bagra- de; e qui la fonte è senza dubbio Valerio Massimo (I, 8, 19). Ancora il poeta infiora spesso i suoi di- scorsi di detti e sentenze di antichi filosofi: eccone due esempi: i
Un filosofo antico detto Tale
La prima cosa ringraziava Dio
Che fatto l’avea uom, non animale
VI, 86); Non si potea qui dir come Biante :
Io me ne porto ogni mia cosa meco (XXVII, 263).
Fin qui s’ è trattato di semplici accenni, di re- miniscenze, di citazioni: sarebbe ora il caso di ve- dere se nel Morgante si trovino anche concetti, im- magini, similitudini tolte dalla letteratura greca e latina. Ma chi abbia una mediocre conoscenza delle opere del nostro scrittore, non si meraviglierà s’ io dico che prestiti diretti da opere antiche non ne ho trovati, o almeno non ho potuto stabilirne con cer- tezza. Un poeta come il Pulci, che scriveva affretta- tamente, curando solo la efficacia della elocuzione, . non s’ indugiava certo a rivestire di nuova veste le colorite immagini di Ovidio o le delicate eleganze di Virgilio. Il suo modo di concepire, di rappresen- tare, di descrivere, è, come dimostrerò nel seguente capitolo, rapido, sintetico, tutto proprio del popolo, | perciò mal s’ accorda colla forma finamente lavo- rata e tornita dei classici.
Così non è meraviglia se il Pulci, pur offren- dosegli l’ occazione, non si sia giovato di descrizioni classiche. Notissima è quella dei funerali di Pallante
I 9 nell’ Eneide (XI,30 sgg.): il nostro avrebbe potuto servirsene per i funerali di Aldinghieri, che pur de- scrive con una certa larghezza (XXII, 144-153): ma invece nulla in quelle ottave può far sospettare l’in- tenzione di imitar Virgilio.
Non manca però qua e colà qualche lontana re-
miniscenza. I versi
Avea certi atti dolci e certi risi....
Da fare spalancar sei paradisi,
E correr su pe’ monti all’ erta i fiumi, (XV, 102)
forse sono un’ eco dell’ oraziano:
Quis neget arduis Pronos relabi posse rivos © Montibus (Carm. 1, 29, 12); La similitudine
E come spesso ne’ campi le biade
Si piegono a quel vento ch’ ha più possa,
Poi rinforza più l’altro e quel giù cade,
Così par sempre la battaglia mossa (XXIV, 184 };
nericorda una virgiliana molto simile (Aen. X, 356). La descrizione della burrasca nel canto XX (31- 36), se non è imitata direttamente nè dai poemi o0- merici (Od. V, 291 sgg.; XII, 403 sgg,), nè da Virgilio (Aen. I, 81 sgg.) nè da Ovidio (Met. XI, 480 sgg.), ha per altro con quelle in essi contenute rassomiglianze che non si possono attribuire semplicemente al caso.
Il verso Morgante aggotta ed ha tolta la tromba
ricorda l’ovidiano (488) Egerit hic fluctus aequorque refundit In aequor;
l’immagine di questi versi: Era cosa crudel vedere il mare! Alzava spesso, ch’ un monte parea,
fu forse suggerita al poeta da Virgilio
(ingens a vertice pontus in puppim ferit; 113-14)
ovvero da Ovidio
(fluctibus Logan na caelumque aequare videtur pontus; 4
Il particolare del timone portatato via dal vento, e
64 del timoniere travolto in mare, ricorre enell’Odissea e nell’Eneide e nelle Metamorfosi : DRODADILIAenIO il Pulci, nei versi
Intanto un colpo ne porta il timone
E quel ch’ osserva percuote nel petto; Tanto ch'egli ha la nave abbandonata
E portal morto via la mareggiata (XX, 34/.
ha imitato questo luogo dell’Odissea: « l'albero colpì sulla testa il nocchiero, e gli fracassò le ossa: ed e- gli precipitò a guisa di palombaro nel mare, e l’ani- ma abbandonò il corpo » (XII, 411-14).
Ancora la descrizione del campo dopo la bat- taglia innanzi alla città di Carrara, presenta qual- ‘ che rassomiglianza con quella delle rovine del tea- tro di Fidene in Tacito. Giudichi chi legge:
Chi morto il padre lascia, e chi ’1 parente, E così morto ]’ ha riconosciuto,...
Chi ’1 suo fratello e chi l’ amico abbraccia, Chi si percuote il petto e chi la faccia. Eravi alcun che cavava 1’ elmetto
Al suo figliuolo, al suo cognato o padre Poi lo baciava con immenso affetto (VII, 34),
Iam ceteri fama exiti, hic fratrem, propinquum ille, alius parentes lamentare... Ut coepere dimoveri obru- ta, concursus ad exanimos complectentium, osculan- tium, si confusior facies et par forma autaetas er- rorem agnoscentibus fecerat (Ann. IV, 62-63).
Ecco a che si riducono quelle reminiscenze classiche che ho raccolte sotto il titolo troppo pro- mettente,di « classicismo nel Morgante ». Possiamo concludere che il Pulci ebbe bensi una sufficiente conoscenza della storia antica, e che i principali scrittori latini e greci (questi ultimi nelle traduzioni) non gli furono ignoti; ma non se ne valse per il poema; solo a quando a quando si compiacque di sfoggiare la sua erudizione, come quegli che scri- Vveva per un pubblico classicamente colta, qual ‘ | era la corte medicea. Insomma nel Morgante non | {| mancanogli elementi classici, ma«rimangono«come
Simi a
: — 65 —‘ dice il Gaspary, esteriorità senza influsso sull’ es- sénza del lavoro » (1); e nulla in esso fa presagire che una quarantina d’ anni dopo il poema roman- zesco diventerà coll’Ariosto una forma da accostare a? generi. e ai modelli dell’ epica classica.
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(1) Storia della lett. ît., T. IÎ, p. I. pag. 248 della trad. it.
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L’ELOCUZIONE, LA SINTASSI, LA LINGUA, IL VERSO NEL « MORGANTE ».
“ Non ‘ha forse la ricca e varia nostra letteratu- ra un libro in cui l’ elocuzione offra ‘allo studioso . della lingua così largo campo di ricerche e di os-. servazioni, come il poema che andiamo studiando.
Latinismi e riboboli fiorentini, voci 'antiquate. e neologismi audaci, costruzioni irregolari e periodi _elegantissimi, maniere affettate e costrutti plebei,. ‘descrizioni efficaci e rappresentazioni confuse, im- “magini mitologiche e metafore strampalate: una lingua meravigliosamente ricca e propria, uno stile ‘ disinvolto e comicamente gaio: ecco in pochi tratti l’ elocuzione nel Morgante. Essa dunque per queste sue qualità carattéristiche merita che noi la stu- diamo con molta cura; e cosiffatto studio, mentre .
' dn ZLI A fin
Rd gr sarà un notevole contributo alla storia della nostra lingua, mostrerà qual posto sia da assegnare al Pulci tra gli scrittori italiani.
Non dirò nulla dei pregi di essa, perchè ne hanno parlato più o meno diffusamente, oltre che molti filologi antichi, tutti gli storici della nostra letteratura, ed io non dovrei che ripetere quanto essi affermano sulla proprietà, sulla naturalezza, sull’efficacia e va dicendo; nè mi fermérò a difen- dere il Pulci dalle accuse che insieme con molte lodi gli dettero alcuni, non soltanto nel cinquecento, ma anche nei secoli posteriori, di avere una « ma- niera del tutto vile e plebea » (!); ma prenderò su- bito ad esaminare i caratteri peculiari di quella. Conviene per altro che io risponda brevemente ad fina osservazione, che potrebbe farmi talune, come cioè il Pulci riporti tavolta intere ottave dell’ Or- lando, accontentandosi solo di rabberciarle o di. dare all’ espressione forma più artistica, pur con- servando locuzioni, vocaboli, rime. Anzitutto il nu- mero di cosifatte ottave è ben piccolo rispetto alle tremila ‘settecento circa del poema; poi avrò cura di scegliere gli esempi da quelle che si l possono chiamare originali.
Incominciamo adunque da quei tratti del Mor-. gante che si possono designare col nome generale di rappresentazioni. Come rappresenta il Pulci? Come descrive un paesaggio, una battaglia, un duello, una fuga? Come fa viaggiare, combattere, cadere, morire i suoi personaggi ?
Notiamo anzitutto che le rappresentazioni sono quasi sempre nette, colorite, vivaci: qualche rara volta invece confuse, sbiadite. Ecco quattro brevi esempi delle prime e due delle seconde:
(1) Varchi, Erco/ano, Introd.
09
Uscirno (i barori) d’ una valle oscura Ove poì nel dimestico 8’ entrava ; ‘ Cominciorno a veder casali e ville,
E sopra campani] gridar le squille. IV, 38)
\. I vento par certi sprazzi avviluppi
Di sangue in aria con nodi e con gruppi. ( )
si ai N L’ uno e l’altro destrier s’ accascioe, A i E cadde in terra pel colpo possente : Tanto che fuor della sella saltorno
CRT O I due baroni, e le spade sguainorno.
- (VI, 43)
Ella (la maga Creonta) sì storce, rannicchia e raggruppa, Poi si distende come serpe o bisce, Poi si raccoglie e tutta s’avviluppa ; . Ella si graffia e percuote e stridisce, ° E tutta l’aria inun tretto s’ MIZADpo Di piogge e venti, e co’ tuoni squittisce, E grandine e tempeste e ’ncendi e furie Cominciono apparir con triste agurie. XXI, 76)
Ritornossi Rinaldo alla cittate, E ha drieto la ciurma de’ Pagani, Fino alle donne in terra inginocchiate: \ Da Benedette ti sien, dicean, le mani; A Eran per tutto le strade calcate = ; Era adorato da quei terrazzani. CI (KXII, 64)
,
Io giurerei ch’ ognun fussi un Achille; Odi la spada d’ Aldinghier che fischia, Guarda il Pagan se raccende faville!
Ma poi che molto è durata la mischia, Trasse Algdinghieri un colpo e valse mille, Che la fortuna crudel non ciricischia:
Due parte al Saracin del capo fece,
Che non si rappiccò poi con la pece.
i (id. 107)
Occupiamoci, com’ è ragionevole, delle rappre- sentazioni fatte meglio, che sono in molto maggior copia delle altre; e vediamo quali ne sieno le note caratteristiche.
In primo luogo la semplicità. Il Pulci non de- scrive accuratamente, non ritrae tutti i punti di un paesaggio, tutti i contorni di una figura, tutti i par- ticolari di un combattimento: dipinge alla brava, a grandi pennellate; ti dà come un abbozzo, e gli pare aver fatto abbastanza. Le sue descrizioni po- trebbero paragonarsi a quegli schizzi che qualche scolaretto traccia sul frontespizio de’ suoi libri; ov- Vero a quegli scenarii, dipinti come Dio vuole, che
a 70 — | veduti di lontano, ingannano l'occhio 3) sembrano
regolari:
Poi riscontrò quel Pagan maledetto ili) Nella battaglia Angiolin di Bellanda, -E con un colpo gl’intronò l’ elmetto, E come morto per terra lo manda. (XXVII, 18)
Morgante il passo. quanto può ‘studiava, E a dispetto di tutti i Pagani Passato ha e ’l fiume e ’1 fardel ne portava.
VII, 21) Come ognun vede,-le sfumature, le. mezze tinte mancano affatto.
‘Le figure poi hanno la rigidità di quelle dei dipinti del quattrocento: sono stecchite, angolose, CSOmRotriche e
Subito cadde quel famiglio in terra, E poi per grande spasimo morio. (LI, 47)
‘ Posonsi a pié della mensa a sedere: ia. un piatello; Astarotte lo ciuffa. ° (XXV, 296)
| Qual differenza tra queste e le descrizioni. del Boiardo, dell’ Ariosto, del Tasso! Si confrontino, per citar qualche esempio, i seguenti passi del Morgante e del Furioso:
Ma ’1 pro Rinaldo giunse al Saracino D’ un colpo tal, che benchè fosse forte, Si ritrovò in sull’ erba a capo chino (X, 65)
Il Pagan ferì lui dal lato manco, E perchè il colpo fu con troppa forza, Poco lo scudo e la corazza manco Gli valse, che s’ aprir come una scorza. Passò il ferro crudel l’ omero bianco ; Piegò Aldighier ferito a poggia e ad orza; Tra fiori ed erbe alfin si vide avvolto, Rosso sull’ arme e pallido nel volto.
(XXVII, 76)
Ma vediamo di fissare qualche altra caratteri- . stica delle rappresentazioni del Pulci. Egli fa MUuo- vere i suoi personaggi con meravigliosa prestezza.” Quanti stramazzano al suolo, si rizzano, partono, ri-” tornano in uno o due versi! Non mi è difficile re- car degli esempi:
Poi si partì (Or/ando) portato dal iure, E terminò passare in Pagania. (I, 19)
E cavalcorno tanto abbreviando (Rin. e î comp.) r
È) i # a Che sono un giorno a Corniglia arrivati. . (XXI, 171)
Già era capitato nel deserto (Rin.): Ecco apparire un cavaliero armato. (XXII, 239)
È ‘quasi superfluo aggiungere .che il Pulci fa ‘scoprire:i luoghi da un momento all’altro (II 59; XXIII, 41) e che non prepara, per dir così, di lunga | mano i riconoscimenti: uno o due versi gli bastano (VII, 8; XVIII, 26-27).
Spesso gli riesce di rappresentare una cosa molto al vivo contrapponendo un’idea ad un’altra, od accoppiando duè versi dei quali l’ uno contiene l’ enunciazione del fatto, l’ altro la descrizione di esso; il primo un comando, il secondo l’esecuzione; ‘questo la minaccia, quello il castigo.
Disse il Soldano: E’ eonvien ch’ io m’ accerti, E-vollegli la mano al viso porre: Orlando gli menava una gotata. (XVIII, 31)
Disse Dodon : Deh! gettato nel fiume : Morgante vel gittd senza più dire. (VII, 23)
Trasse la spada (Rin.) dal lato suo bella Ma presto sanguinosa e brutta fella.
Abbiamo accennato alla inferiorità di alcune rappresentazioni. Diciamo ora più particolarmente che talvolta le varie DEL di esse non formano un tutto, non_ Vi dànno un’ immagine, per così dire, omogenea, cosicchè voi vi sforzate invano di rap- ‘ presentarvi innanzi agli occhi la scena o figura che il poeta ha voluto descrivervi.
Orlando Durlindana al fin pigliava : Tanto ch’ ognun che l’ aspetta, ne piagne. L’ un sopra l’ altro morto giù balzava. Beato a chi mostrava le calcagne,
Che tutti gli affettava come rape,
Tal che più morti in sala non ne cape. X, 67)
Talvolta vi sono rappresentate troppe cosg, e l’immagine è confusa:
Cadde il gigante dell’ alfana in terra; Fece un fracasso come quando taglia ll montanaro, e qualche faggio atterra. I Saracin che son’nella battaglia, Chi qua, chi là per le fosse al buio erra ;
Pal
Ognnro inverso le 'porte sì scaglia
Veggendo Salincorno giù cadere,
Che lo sentì chi nol potea vedere & vin, 107);
di
tal altra sono omessi poco accortamente alcuni trattl che pur sarebbero necessari perchè la rap- presentazione fosse compiuta: : | Rinaldo ali I Trovò lo scudo di (di un Pag.) CA netto lo tagliava;
L’ elmo sonò com’ una cennamella, E come morto uscì fuor della sella. «
Frequenti sono-nel Morgante le similitudini, benrTontane dalla finitezza di quellè dell’Ariosto é del Tasso, è raramente più lunghe di dua._ versi: bizzarre talvolta e inefficaci, tal altra naturali, bel- lissime, come le seguenti: *
Balzano i pezzi di piastre e di maglia Come le scheggie d’ intorno a chi taglfa. (VII, 50) I Pagan cominciorno in abbandono « - A fuggir, come uccelli. in aria spesso Per vento o grandin, per folgore o tuono, E non dicienno l’ uno all’ altro : Vienne, Chè per paura mettevon le penne. .
(XXIV, 142)
Riassumendo diremo che il modo di rappréèsen- tare del Pulci è quello dei poeti popolari, i quali rifuggono dall’analisi, non curano i particolari, e mirano a stampare nella mente di chi legge, un’im. magine netta, viva, colorita. In vero certe descpi- zioni del Morgante fanno venire in mente le can- zoni di gesta francesi. Chi non ricorda il' racconto della pugna di Roncisvalle neila Chanson de Ro- land, dove colla celerità del lampo vi passano di- nanzi agli occhi coppie di cavalieri cristiani e-sa- racini, la spada al fianco, lo scudo in braccio, l’asta in pugno; si scambiano quattro colpi, o si puntano le lancie al petto, e l’ uno stramazza al suolo, l’altro gli lancia una maledizione e sparisce ?
D' altre part est uns paiens, Valdabruns... Si vait ferir le riche duc Sansun,
L’ escut li freint e 1’ osberc li derumpt, El’ cors li met 136 pans de l° gunfanun,
had
= e
Pleine se hanste l’abat mort des arguns,
A voiz escriet : « Tuit i murrez, glutuns,
Ferez, palen, kar trés bien les veintrum
Dient Franceis: « Deus! quel doel de barun ». (1)
Mi resta a fare in questo campo qualche altra osservazione. Talvolta il Pulci rappresenta come i secentisti: carica le tinte, non mantiene le pro- porzioni, esagera i contorni. Ecco un esempio di queste descrizioniî, che del resto sono comuni a moltissimi poeti minori del quattrocento.
E fu tanto il furor e la tempesta - Che ’1 porfido affettato avrebbe allora; E colla spada gli fesse la testa, Perché la furia e la rabbia lavora, E anco quivi Fusberta non resta : Fessegli ?1 collo e tutto il busto ancora . (XXIII, 32)
Nè creder ch'io tenessi gli occhi asciutti, Misera a me, comunque il mio mal seppi; o , Ma sempre lacrimosi e meschinelli Dovunque io fu’, lascioron due LETO . t)
Noterò da ultimo che talora il nostro rimatore ricorre alla mitologia greco-romana, o chiede in
prestito i colùri a del vicin suo grande, l’ Alighieri, come nei versi seguenti : È Il delfin v’ è che mostrava la schiena P
E par ch’a’ marinai con questo insegni Che si provveghin di salvar lor legni (XIV, 64) Come i delfini quando fanno segno Ai marinar con l’ arco della schiena Che s’ argomentin di campar lor legno Inf. XXII, 19-21)
Studiamo ora il modo di ragionare e di esporre del nostro poeta. Anche qui devo premettere che talora egli esprime i suoi concetti con mirabile - efficacia, tal altra imperfettamente e financo oscu-
ramente, come in questo passo:
so» Ma di dormire in così strano e scuro Luogo, non parve a Morgante sicuro
- » Dicendo: Io non ci veggo cosa alcuna Da ber, nè da mangiar, nè da dormire; Acciò che non facessi la fortuna Qualch’ aspra fera ci avessi assalire. Camminorono al lume della luna Tutta la notte con assai martire
(XIX, 71-72).
(3) Ed. Gautier, CKXXIII.
si
Ma vediamo i caratteri estrinseci ed intrinseci. della elocuzione nel Puici.
Il gaio Fiorentino incastra spesso nelle sue ottave brevi passi latini tolti dalla Bibbia, dai Pa- dri della Chiesa, da scrittori profani, ovvero fog- ‘giati da lui stesso, dando così un tono solenne al suo racconto. Si trovano infatti quasi sempre nelle invocazioni, nelle descrizioni della morte di qualche eroe cristiano, nei discorsi teologici.
‘ Eccone qualche esempio:
Gloria in excelsis Deo e în terra pace, Padre e Figliuolo e Spirito Santo : Benedicimus te, Signor verace. (IV, I)
E spira in me, quel (che) per me non intendo, _ In manus tuas me valde commendo. (XXV, 246)
Se non fusse stato Carlo a pugnar per la fede di Cristo, Forse saremmo ognun maumettisti: Ergo, Carole, in tempore venisti. (XXVIII, 38)
Quanto cadano opportune queste citazioni la- tine non istarò a dire: noto solo che cosiffatta. mescolanza del volgare col latino, teologica nella Divina Commedia, diventa nel Morgante non già satirica o burlesca, ma certo inefficace; ed è dovuta vuoi al vezzo comune a tuttî gli artisti della rina- scenza, di mescolare il sacro col profano, vuoi al- l'accortezza del Pulci, scrivente per la pia Lucrezia Tornabuoni.
. Molto spesso il nostro infiora le sue ottave di versi o di concetti del Petrarca, e specialmente di Dante.
I versi seguenti:
Che mai più fermo iu diaspro si scrisse, 3
Là dove il corno ) sonò tanto forte i Dopo la dolorosa rotta, quando..., È] La sua loquela mi fa manifesto, ( XXVII, 177) Com’ anima gentil presto s’ allaccia I 20) Quest’ è colui ch’ aglì altri tone e na tolta,
I | La forza e ’1 mal voler giunto all’ ingegno. Sai che può tutto (I, 24) sii
sono appunto di quei due poeti, come ognuno può Vedere. . î PETRARCA
Che mai più saldo in marmo non si scrisse, (Tr. d’A., I, 64
DANTE
Dopo la dolorosa rotta, quando Carlo Magno perde la santa gesta, (Inf. XXXI, 16-17)
La tua loquela ti fa manifesto, (Inf. X, 25)
PETRARCA
So che di poco canape s’allaccia Un’ anima gentil, (Tr. d’ A., I, 115)
Ch’a tutte s’ ìo, non erro, fama ha tolta, 7 (Son. Dicemi spesso).
DANTE Chè dove l’ argomento della mente S’ aggiunge al mal voler ed alla possa. . (Inf. XXXI, 55-56)
In tutto il poema se ne contano più che una quarantina.
Fenomeno notabile e che ti rallegra l'animo. codesto, d’un poeta popolare, ma non incolto, della ‘rinascenza, il quale da un lato fa sfoggio di clas- sica erudizione, dall’ altro orna i suoi canti di versi e locuzioni petrarchesche o dantesche |! Egli sem- bra far eco ai dotti del suo tempo, che in Santa. Maria del Fiore celebravano con erudite orazioni o commentavano ne’ giorni festivi i due maggiori poeti del medio evo; e rispecchia molto bene la tendenza letteraria del popolo italiano nella seconda metà del secolo decimoquinto. !
Volendo ora parlare dei caratteri intrinseci della elocuzione nel Pulci, ci conviene distinguere la sintassi dalle parole, il periodo e la proposizione dalle locuzioni e dai vocaboli.
Studiamo da prima il periodo, e propriamente il modo cen cui il Pulci raggruppa ed ordina le idee
; — 76 — ) Anzitutto il Pulci ha periodi di sintatticamente perfetti, e periodi mal costruiti. Ecco due esempi
di diversa specie: Le camere eran tutte ornate e belle, Istoriate con sottil lavoro, E letti molto ricchi erano in quelle, Coperti tutti quanti a drappi d’ oro: I palchi erano azzurri, pien di stelle, Ornati si, che valieno un tesoro: Le porte eran di bronzo e qual d’ argento, E molto vario e lieto è il pavimento. (II, 20/
E vipere e ceraste e strane carne Convien ch'io mangi, che reca da caocia, Che mi solieno a schifo esser le starne; Se non che mi percuote e mi minaccia, Sìcche per forza mi convien mangiarne : Alcuna volta degli uomini spaccia Poi gli arrostisce e mangiagli il glgante Col suo fratel che si chiama Sperante.
’
Ma, per venire ai particolari, egli come tutti gli scrittori non colti, di raro subordina: coordina quasi sempre, e v’hanno ottave formate di versi con- tenenti ciascuno una proposizione coordinata col- l’ antecedente; il che se qualche volta accresce ef- ficacia al racconto, molto spesso scema l’ effetto. Si giudichi da questo esempio:
E battezzò costui divotamente: E come morto fu, sentiva un canto, E Angeli apparir visibilmente, Che l’anima portar nel regno santo; E d’ aver morto costui fu dolente, E con Terigi faceva gran pianto: E feciono una fossa a drento e scura,’ E dettono a quel corpo sepnitura (XII, 66).
Frequenti sono nel Morgante gli esempi di epanafora, ovvero ripetizione delle stesse parole nella prima parte di una serie di proposizioni : ma il Pulci non ha fatto altro che imitare l'ignoto autore dell’ Or/ando, nel quale per primo s’ incon- trano cosiffatte costruzioni.
Spesso i passaggi da un concetto ad un altro sono troppo bruschi, repentini.
L’abate si chiamava Chiaramonte, Era del sangue disceso d’ Anglante ; Di sopra alla badia v’ era un gran monte (I, 20).
Rispose : Chiaramonte è il nome mio, Benignamente a Rinaldo l’ abate.
— 77 — Dopo alcun giorno acceso dal desìo, Disse Rinaldo (IV,
Talvolta il nesso ea tra le idee è anche im- perfetto, e il senso, per conseguenza, poco chiaro: Ma il mondo cieco e ignorante non prezza Le sue virtù (di Carlo) com’io vorrei vedere ; E tu, Fiorenza, della sua grandezza
Possiedi, e = La Bor possedere Ogni costume. (I,
Dicia Rinaldo : Alla barba l’ arai;
E cominciò a mangiar com’ un arlotto ;
Ma quel sergente a chi fu comandato,
Avea il caval di Dudon governato. (]II, 45/
Carattere peculiare dello stile del Pulci è dun- que_ una scioltezza, che bene spesso degenera in disprezzo d’ ogni i regola, in negligenza nel. coordi- nare le idee, nel formare i periodi: dico negligenza,
perchè, - modificandoli alcun poco, diventerebbero perfetti; ma egli, o perchè andava man mano leg- gendo i suoi canti alla tavola dei Medici, o perchè rifuggiva dal tornar sopra ciò che aveva scritto,
li lascia tali quali gli son caduti dalla penna. Anche per questa ragione ben di rado si trovano): nel Morgante discorsi riferiti in forma indiretta; ii essi richiedono più attento studio, hanno strut- i tura più complessa, e però non piacciono al fret- | . toloso rimatore.
Occupiamoci ora del costrutto e della disposi- zione delle parole.
Parmi ragionevole dividere le varie forme di costrutto adoperate dal Pulci, in ricercate, regolari, irregolari. Tengono alcun poco dello stile latino i costrutti seguenti (imitati che sieno, o pur no, dai trecentisti):
Per te conosco la vita salvata (I, 368) E dopo molte cose ragionate (1I, 16/
E in questo ragionando hanno veduto (TI, 19/
Al papolo era orrore e meraviglia, Veggendo quel e’ han fatto i paladini (IV, 75).
Mostrano la velleità d’ accostarsi all’ uso degli scriftori più eletti questi altri:
ig
Che costui abbi ogni reputazione
Nol sofferrem (1, 12)
Così Rinaldo a questo fu igmorante. (IV, 32)
Io fui già lieta a mia consolazione. (XIX, 27)
Ma d' atterrarlo ancor non era nulta, (XIX, 47)
Fa che tu pensi al fin che tuo fia il danno. (XX, 71)
Ma fa ch'a questa impresa or non sia molle (XXII, 217)
Disse Rinaldo; Questo abbi per vero. (XXIII, 43)
Si ch’ io non parlo simulato o fitto (finto). (XXIV, 105) Non è il caso di dedurre da così semplici ac- - cenni importanti conseguenze, ma si può affermare. che il Pulci, come scrittore, appartiene al popolo . men di quello che comunemente si crede.
Non dirò nulla dei costrutti regolari, a punto perchè essi non costituiscono il carattere peculiare dello stile di uno scrittore; mi tratterrò invece un po’ a lungo sugli irregolari. sE
Alcuni appartengono alla categoria di quelli . che i grammatici più o meno a malincuore ammet- tono, perchè comuni nella lingua parlata e non infrequenti anche nella scritta; altri sono proprî soltanto del Pulci, ed egli non si perita di adope- rarli, vuoi perchè gli fanno buon giuoco. per il verso o la rima, vuoi perchè gli risparmiano un lungo-giro di parole. Ed io nel fermare su di essi l’attenzione di chi legge, non intendo ‘già di pre- sentare delle gemme; voglio solo dare un’idea piena ed esatta della varietà - dell’ elocuzione nel Pulci; mostrare come qualche volta l’ irregolarità ha contribuito all’ efficacia, e qualche volta no; far vedere insomma il bello ed il brutto, perchè si possa giudicare rettamente del merito del nostro scrittore. | nu “e
Citerò qualche esempio dei. primi:
Io voglio il mio cugino ire a trovarlo. (1II, 30) Questa fanctulla gli è tocca a sorte (IV, 44) I paladtn ognun molto ha VIDERIO, (XI, 56) o ti prometto Se infino al padre mio vuoi ah
Io ti ristorerò pér certo ancora. (XIX, 90 Ma Ulivieri adopera le mane
ld
* n
F
*
i — 79 — ‘Ch’ avea quel guanto Rinaldo fe fare. (IV, 66) E Ulivier più volte aveva detto,
sa Siccom' avvien chi cavalca di notte. (IV, 88)
t
Dei secondi se volessi citar tutti gli esempi, andrei troppo per le lunghe. Dirò solo che il Pulci adopera spesso parole che impacciano l’.andamento ‘del periodo (II, 12; II, 52); confonde insieme due di-
‘, verse costruzioni, talvolta con danno. della chia- ; rezza (III, 22; XXI, 77); passa con molta facilità da un ‘ soggetto ad uno diverso (III, 17; IV, 16; XIX, 17), da «un tempò ad un’altro:. incomincia, per esempio,.a
costruire un periodo col perfetto, poi vi adopera il presente storico, poi di nuovo il perfetto, o l’im- perfetto o un tempo passato i si voglia. (XIX 43; XV, 77). co
Notevole è nel Pulci l’ uso. dell’ imperfetto in luogo del passato per ‘rappresentare più al vivo una cosa, o per esprimere l’istantaneità di un fatto: uso freguente anche oggi in alcuni RO specie "del ‘mezzogiorno.
‘Quand’ella (7a porto) giunse ove il cervello stava, Questa gli parve una stanza sf bella, ° Che nel suo cor tutto si ra//egrava. (II, 56)
Morgante ascolta e una volta e due E poi diceva. (XIX, 3)
Infiniti esempi potrei anche ‘citare dell’uso di un tempo per un altro, del futuro ‘secondo per il: futuro primo, del passato prossimo per il. remoto — (I, 60, 71; II, 59; IV, 99).
Come ognuno può immaginare, non è" vio osservata nel IE la dala Coreeiazione dei SSRIDE:
; E lascia un sasso andar fuor ella fonia > Che in sulla testa giugnea rotolando, | S Al conte Orlando, e l’ elmetto rimbomba,
E cadde per la pena tramortito. Ma più che morto par, tanto è stordito. (I, 99)
Son costruiti irregolarmente il gerundio (XXI, 71) e il pronome relativo (I, 4; III, 52); è trascurata la
| concordanza dell’ aggettivo col sostantivo (1,9; II, 19).
— 90 Frequentissimi e la più parte efficaci sono gli
anacoluti. Il primo ch’ egli Rin.) scontra de’ Pagan Gli passò la corazza e poi la pancia. (III, 71)
E quanti eavalier con lui giostrorno Parvon le lancie gambe di finocchi. (XI, al L' ira del mare è da averne paura. (XXII, 160)
Quanto alla disposizione delle parole, ognuno sa come s’ avvantaggi l’ elocuzione dalla così detta costruzione indiretta. Di essa abbiamo molti esempi nel Pulci; ma se nella maggior parte dei casi vien fuori, per dir cosi, spontanea dall’ordine delle idee, {I, 11; II, 70; III, 29; X, 58), talvolta è sforzata e di
niun effetto, come in questo esempio:
Rispose Orlando: La preghiera è degna D’aver il campo in tal modo trascorso. (X, 29/
Come terzo elemento della foma nel Morgante stu- diamo la lingua. Per procedere con ordine, parliamo prima delle locuzioni, e dividiamole in comuni,, letterarie, nuove e popolari.
Per comuni intendo quelle che erano,patrimo- nio della lingua al tempo del Pulci, e che non si sarebbero dette allora nè letterarie, nè popolari, nè nuove: e di questo è inutile occuparci.
Citerò alcune di quelle che ho chiamate /ette-
rarte, e sono imitate da Dante e dal Petrarca. E la cagion ch’ io vesto or panni bigi (III, 77)
E disse: Così va chi s'innamora (VII, 12) Come suole il falcone
Uscito di cappello (XI, 70)
Volesti uccider pe’ suot ma’ conforti. (XIII, 23) Qui le dolenti note incominciorno. (XVII, 123) Io ho cercato diversi paesi (XVIII, 147)
E furon ly0pre sue e le sue colpe
Non creder /eonine, ma di volpe. (XIX, 155)
E disse: Posa, posa, Saracino. (XXI, 38)
Nel Morgante abbondano i modi popolari, cioè quelli che il Pulci coglieva sulla bocca della bassa gente nelle piazze, nei mercati, nei vicoli, e che pri- ma di lui non erano entrati nella lingua. Di quelli che citerò, la Crusca non registra alcun DIRIRDIo
anteriore al Pulci stesso.
— 81 — Rinaldo /ece Albanese messere. (III, 48) E del diciotto teneva ogni invito. (III, 71) Esser dovea (Rin.j per certo un poco in vino. (X, 87) Questo (Rin.) è da bosco e da montagna. (XIII, 35) Io feci presto mazzo de’ miei salci. (XI11, 54)
Io non voglio‘ Far degli orecchi zufoli a rovaio. (XVIII, 161)
Però ch' egli era più cotto che crudv. (XIX, 141) E non poteva ignun pigliar puleggio. (XXVII, 261)
Come ognuno vede, sono tutte locuzioni bur- lesche, e se ne intende facilmente il perchè. Nel secolo XV non c’era affatto in Italia }a tradizione di una poesia comico-romanzesca, chè sugli eroi carolingi e bretoni non s’era mai sparso il ridicolo; perciò il Pulci dovette in qualche modo crearne la forma, e ricorse al popolo, di cui, dice bene il Bartoli, «la burla e il riso sono il linguaggio favo- rito. » Così non faceva quando trattavasi di mettere in versi concetti improntati della serietà epica. |
Vengono da ultimo le locuzioni nuove, inven- tate cioè dal Pulci. Nè io nè altri potrebbe asserire che tutte quante le abbia trovate proprio lui; ma innanzi tutto non ne riscontriamo alcun esempio negli scrittori dei secoli antecedenti; poi esse stesse si riconoscono subito di formazione letteraria, non avendo nulla che faccia pensare al linguaggio dell popolo.
Dall’ una spalla il tinello avea posto, Dall’ altra i porci, e spacciava # terreno, (1, 65)
Il Saracin non se ne vuole andare di E nel paiuo! si tuffava allo. imbratto. (IMI, 50)
Rinaldo aveva gli occhi a quelle palle, Ch’ un tratto che l’ avessin fatto colta, Gli facevan le gote altro che gialle. (XVII, 44)
Fuligatto era tutto meraviglia. (XXIII, 6) E morto cadde senza dire omei. (XXVII, 25) Aresti tu appostata la cena? (XIX, 73)
Non si creda per altro che ogni locuzione nuova, solo perchè è stata trovata dal Pulci, sia bella; tali non mi sembrano le seguenti:
Dimmi del nome tuo la veritade. (I, 47)
E in certa cameretta entrati sono Che d’ armadure vecchie era copiosa. (I, 84)
ui QD Disse Rinaldo: Tu non parl? a matto. (XXII, 19)
‘Nelle metafore di sua invenzione il Pulci tal- volta è molto efficace, tal altra no. Ecco esempi diversi:
E furo al bere inf.rmi, al mangiar sani. (II, 24) Tu vedrai che ’1 caval non fé truffa. (11, 79)
E uu Pagano in sul capo ha ferito, (Ria.)
Che de? suo sangue la terra si smalta. (XVIII, 14) Il messo torna con un viso amaro. (XXI, 126)
Il gigante dal sonno si sferra (I, 39)
Non domandar quanto dolor ?° afferra. (IV, 28) Corbante un bando mandò inolto caldo. (IV, 56)
Passiamo ai vocaboli. Niuno si meraviglierà che uno scrittore bizzarro come il Pulci non abbia scrupolo di adoperare latinismi (leo, soluta ora- zione, cogitato, ingratitudo, micanti, die, vulgato), francesismi (pifetto (petit), gaggio, nievo, cocchino pagliardo) ed arcaismi (certanza, fallenza, esordia, chiere, temenza, allotta, sovamo) (1); ma più fre- quenti, e quasi tutti buoni, sono i neologismi. Ec- cone alcuni:
Se bene ogni cosa raccoppio (2) (VI, 62) Senz'’ essa (giustizia) ogni cosa precipizia. (X1. 58) Orlando i colpi allor misura e’ nsala (3) (XXI, 112).
Ma sono specialmente efficaci i vocaboli, per dir così, comici.
°
Mentre che parlan così in cimitero
Un sasso par che Rondel quasi sgroppi. (I, 26) - E ci darà degli altri arreticati
Che rimmarranno a questa rete. (XIII, 41) Riprese meglio il drago per la coda
E una grande dragata diè a Morgante. (XIX, 38)
S’ egli avesse avuto il berzo, Morto l’ avrebbe con due rugioloni. (XXI, 134)
Infinito poi è il numero dei vocaboli ch’egli ha tolti dalla parlata fiorentina, specialmente ple- bea, ed è inutile citare esempi, perchè ricorrono
(1) Non ho trovato traccia dì lombardismi. Solo in un luogo il Pulci adopera la voce tosetta (dim. di tosa), usata già dal Boccaccio,
(2) considero.
(3) dà con senno, a sesto.
| —- 89—
ad ogni ottava. Parmi invece opportuno fare un’os. servazione. Le voci e locuzioni plebee, di cui il Pulci ha infiorato il suo poema, si presentavano per così dire, spontanee alla sua mente, o n’andava egli studiosamente in cerca? Io non esito punto ad ammettere questa seconda ipotesi, e credo anzi che il Pulci tra una voce o locuzione, diciamo così, letteraria ed una plebea, scegliesse spesso la se- conda, appunto perchè avrebbe mosso a riso; ch’era in fondo quello ch’ egli voleva. Doo A questo proposito noterò come in alcune ot- tave (nelle quali non so se il poeta abbia voluto ita le canzoni equivoche degli antichi toscani) si compiaccia di accozzare parole di suono simile, alcune delle quali fan parte della lingua, altre sono
state foggiate da luì stesso.
La casa cosa parea bretta (1/ e brutta Vinta dal vento, e la natta e la notte Stilla le stelle, ch’ a tetto era tutta ; Del pane appena na dette ta’ dotte; gita avea pure e qualche fratta frutta, svina e svena di botto una botte: Poscia per pesci lasche prese all’ esca, Ma il letto allotta alla frasca fu fresca (2) XIII, 47) Occupiamoci brevemente del metro, del verso, della rima. . | L’ottava del Pulci è ben lontana dalla perfe- fezione di quella del suo contemporaneo ed amico il Poliziano, che ci ha dato i migliori modelli di questo metro; e tiene ancor molto della origine popolare di esso, come si scorge dalla sconnessione delle parti, che non formano un tutto organica- mente congiunto. V’ hanno nel Morgante molte ot- tave composte di versi staccati quanto al senso, l’uno dall’ altro, come la seguente:
Non cavalca caval miglior barone, Nè miglior cavalier porta elmo in testa ;
#
(1) Meschina, miserabile. (2) Vedi anche la 55 del XXVII.
_ 84 — Non cinse spada mai simil campione, ‘ Nè miglior paladin pon lancia in resta. Non uom tanto gentil si calza sprone; Ed abbracciava /Gostanza) Orlando con gran festa, E la reina e lui lo ringraziorno, E tutto il popol suo che gli è d’intorno; (XVII, 137) e non cito altri esempi, perchè calzano a cappello quelli recati più addietro per mostrare la sconnes- sione dei periodi. Migliori in generale sono le ot- tave che contengono discorsi, anzi alcune tra esse ‘non hanno nulla da invidiare alle più belle della nostra poesia.
Le rime cadono qualche volta senza sforzo dalla penna del Pulci, e chi vuole accertarsene, apra a caso il Morgante. Tal altra la rima lo impaccereD- be, ed egli allora, invece di torturarsi il cervello, vi adopera o tre imperfetti in ava, o tre infinitt in ire, o tre diminutivì in* etto, o tre participi in uto. Scelgo il canto VII, il quale ha soltanto ottantasei stanze: di esse venti hanno la struttura suddetta. Da questa proviene quella mancanza di melodia che il Foscolo notava nel Morgante, (1) e quella uni- formità di ritmo che a lungo andare ci stanca. V’hanno poi ottave in cui la rima sarebbe la stessa nei primi sei versi: che vi fa egli allora? Rende alternativamente tronchi questi, e ottiene l’ ottava (11, 39).
Uno scrittore come il Pulci non rinunzia alle così dette licenze poetiche, tanto comode per la | rima; ma il guaio si è che egli se ne piglia di ‘ strnissi me. Ricorre a locuzioni ineleganti o scor- -
rette od oscure, come le seguenti: Orlando disse con grati sermoni. (II, 69/ ‘ Come nell’ alro dir vi sarà porto. (IV, 1034 E raccontava del fatto il tenore; (VIII, 34) adopera parole inutili:
E fatto è or (S. Paolo? della fede una tromba La qual per tutto risuona e rimbomba. (1, 58)
storpia i vocaboli: (1) Op. cit., 137.
— 85 — Che non s’avvede, tanto è sciocco e fole. (1V, 32) Più tempo ha fatto in Levante dimoro. (11, 69) Il messagger vuol far ch’ è interesso. (VIII, 22)
sposta gli accenni tonici: ‘L’andar così pel mondo è dure estico; 11 58/
non cura le concordanze:
La fama par che per tutto si spandi De’ tre baron che vi son capitato. (1V, 102)
Erequenti sono le rime ..sdrucciole delle quali trovi rarissimi esempi nel Boiardo e nell’ Ariosto. +-. Il Pulci (e in generale i rimatori del quattrocento) se ne compiace, anzi talvolta compone intere ot- tave con rime cosiffatte (XXIV, 94). Talora invece .I primi sei versi son tutti tronchi (X, 25). Insomma egli, che pure partecipa tanto dell’arte popolare, dà qui invece la mano ai poeti del medio evo, che andavano orgogliosi di superare le difficoltà tecni- che più ardue.
Diciamo da ultimo qualche cosa del verso, Nel Morgante troviamo una grande varietà armonica
di versi:.
© Una famosa, antica e degna storia. (1, 1) Però giusto Signor benigno e pio. (id./ In principio era il verso appresso Dio. (id.J Mandami solo un degli Angeli tui. (id./ Morgante i moncherin mostrò per fede (1, 56) E portollo e gittollo in luogo strano. /1, 75) Tirati dentro, cavalier, per Dio. (1, 27/
‘ Avea lui sol tenuto come Orazio. (XXlI, 135/ Conosci tu ancora, o sai ’1 suo nome? (XXII, 78/
Anche qui il Pulci, perchè il verso, torni o ado- pera voci inutili: Morgante gliene piacque un che ne vede, (1, 60) o sincopa le parole: Che col dar/otto non beve a digiuno, IV, 36) o le tronca irregolarmente:
E ritornate al vostro car engino, (11, 17) A Carador con letter suggellate, (VI, 50)
o dà ad una parola ora un valore metrico, ed orà un altro:
Quel dì che Gabriel tuo ti disse Ave, (1, 2/ E l’Angel che gli è presso è Gabriello, (XVIII, 78)
Ma, nonostante queste licenze, egli ha talvolta versi disarmonici, slombati:
A’ monaci suoi fatto haì dispiacere, /1, 31/ i Tu hai pur fatto, per Dio, netto e presto, (XVII, 177) Cotesto è troppo gran boccon da te, (XIX, 109-/ Loica non è questa: ognun la intende, (XXIV, 21/ Colui che inver la Spagna acquistata ha, (XXV, 10/ O Macon, come lasciasti cascallo. (XXVI, 10)
Chi consideri alcun poco questi ‘versi vedrà che, leggermente mod)ficati, diventerebbero perfetti; d’ altra parte non si può credere che il Pulci non n’avvertisse l’inelegante struttura: che s’ ha dun- que a concludere? Ch’egli, come ho già detto, scri- veva molto affrettamente. Chi poi vorrà credere a messer Francesco di Dino di Jacopo di Rigaletto, primo editore del poema intero, che il suo proprio auctore, che iddio felicemente conservi, abbia rive- duto et correcto. l’opera sua?
Ma raccogliamo le vele e tocchiamo terra. Qual giudizio s' ha a portare di questo bizzarro scrittore, «che viola bene spesso le regole dell’ arte, che prende la lingua dove gli capita, che foggia costrutti, lo- cuzioni, vocaboli nuovi, che non riconosce insom- ma nello scrivere altra autorità che il suo capric- ciò ? Ad uno storico della nostra letteratura, non molto liberale in fatto di lingua, parve codesto di- fetto d’ arte (1); e noi stessi, ceferis paribus, cioè salve la naturalezza e l’ efficacia, avremmo prefe- rito che il Pulci fosse stato più sobrio, più corretto, più esatto. Che non aveva ottenuto il Sacchetti con quella sua lingua pur popolare ? Ad ogni modo ‘ niun poeta ha fissato più largamente ed efficace- mente tutta la parlata fiorentina del secolo decimo
.(1) Tiraboschi, T. VI, 1. III, c. 3. Anche il Varchi (0p. cit.) accusa il Pulci di « poco considerato ed ardito ».
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quinto; niuno ci permette di valutarne più sicu- ramente la varietà, la ricchezza, la potenza, la na- tura; niuuo quindi ci rappresenta meglio lo spi- rito di quel popolo nel quattrocento. Nè basta: questa lingua popolare egli ha saputo adattarla allo scherno ed all’ ammirazione, al pianto e al sogghigno, all'amore e all’ odio, alla fede e allo scetticismo; l-ha fatta benedire e maledire, pregare e bestemmiare, chieder compassione e schernire; l’ ha fatta risuonar nelle reggie e nelle taverne, sui campi di battaglia e nei monasteri, sotto le tende dei soldati e nelle celle dei frati, in Oriente e in Occidente; l’ha snodata in migliaia e migliaia di versi. Che ha di comune, per questo rispetto, coi rimatori del suo tempo il nostro ppeta? Egli è una gloria dell’ arte.
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I PERSONAGGI DEL « MORGANTE ».
A vie meglio conoscere come il Pulci abbia trasformato la materia trasmessagli dai poeti po- polari, credo utile studiare partitamente i carat- teri dei personaggi principali del Morgante. Non già ch’ egli abbia mutato sostanzialmente il tipo
leggendario di essi: quantunque men fedele alla
tradizione che gli autori da lui presi a sua guida, pur tuttavia non si è ad essa ribellato; ma la biz- zarria del suo ingegno e la squisitezza del senti- mento artistico, da non paragonar nemmeno con quello dei rozzi ed incolti cantastorie, fecero sì ch’egli vi apportasse alcune modificazioni. A que- sto s’ aggiunga l’ influsso che ebbe sopra di lui la poesia cavalleresca del suo tempo, nella quale, a cagione del crescente favore che incontravano pres- so il pubblico le leggende dei ribelli e special- mente di Rinaldo, alcuni personaggi si andavano
Le :0) «via via trasformando. Troveremo dunque nel Mor- gante due ordini di differenze, le une, per cosi. chiamarle, storiche, le altre estetiche; importanti le prime per la storia della poesia romanzesca, le seconde per sempre meglio giudicare del valore artistico del Puici,
Incomincierò, contro ogni consuetudine caval- leresca, ma non senza una ragione, da un perso-. nale apparentemente secondario, da Rinaldo,
| Anziiùtiò € da osservare come già nell’ Orlando Rinaldo abbia una parte molto più considerevole che il suo valoroso cugino. Le imprese individuali di questo contro giganti, mostri, città, popoli in- fedeli, sono circa venticinque; quelle di Rinaldo oltrepassano le trentacinque. Egli è l’ eroe che. più spesso si presenta sulla scena, e al quale: per- ciò è più spesso rivolta la nostra attenzione. Que- sto prova non già che lo sconosciuto rimatore ine tendesse celebrare piuttosto le imprese del secondo che del primo di quei baroni, e meno ancora che . il suo poema debba perciò intitolarsi da Rinaldo; ‘ma che egli era tratto da un sentimento di ammi- razione, quasi direi, tradizionale a metterlo mag- giormente in luce, ad esaltarlo più che tutti’ gli al- tri paladini. Affermava, è vero, che niuno era pari ad Orlando nell’armi, e dalle gesta di lui incomin- ciava il suo racconto; come toscano per altro sen- tiva che il suo eroe era Rinaldo. Ma questo, ché nell’ autore dell’ Orlando è effetto d’ inconscia am- mirazione, nell’autore del Morgante è deliberato proposito. Il Pulci fa che il gigante incontrato da Rinaldo, Dudone, Ulivieri, mentre andavano in cerca di Orlando, non sia ammazzato da quest’ ultimo (Orlando VII, 20) il quale anzi è abbattuto da esso, bensì da Rinaldo (Morgante, IV, 28-31). L’ episodio del mostro incontrato dagli stessi in una selva,
par
ce
ed ucciso con tanta fatica ed arte del nostro pala- dino (V, 37-75), è invenzione del Pulci. Nuovo pure è l'episodio della cattura di Astolfo e della sua liberazione per opera di Rinaldo (XI, 42-133), o me- glio esso è la duplicazione di un racconto dell’ Or- rlando, rifatto a suo luogo dal Pulci, la quale torna tutta ad onore di quello. Si vede insomma Nel no- stro poeta uno studio di gloriîficare sempre più il valoroso figlio di Amone. ”
Importantissima è per questo rispetto la seconda
| parte del poema. Rinaldo dall'Egitto, dove trova-
vasi col fratello Ricciardetto, è trasportato per arte magica a Roncisvalle, prende parte alla terribile battaglia, fa strage de’ Pagani, e, giunto Carlo, l’a- iuta efficacemente a vendicarsi dei traditori.
Abbiamo già dimostrata falsa l’affermazione del poeta che pretende di aver seguito quì una versione della rotta del trovatore Arnaldo, fattagli conoscere da un « Angelo », che sarebbe il Poliziano; ma il Rajna non è alieno dall’ ammettere che realmente quest ultimo abbia consigliato il Pulci a far inter- venire Rinaldo a Roncisvalle.
A me pare che tanta ragione si abbia di sospet- ttare della seconda notizia che della prima, e nei versi
Un Angel poi dal ciel m’ ha mostro Arnaldo Che certo un autor degno mi pare (XXV, 115/,
mi par di vedere uno scherzo: un angelo del cielo mi ha additato lo storico Arnaldo (non mai esistito), il quale è a mio credere degnissimo di fede. Non sono infrequenti nella letteratura cavalleresca cue- ste ispirazioni o illustrazioni divine, che il nostro volgerebbe qui in ridicolo, come d'altra parte ab- bondano nel Morgante richiami a cronisti o poeti che non sono mai esistiti. (1) Secondo la mia ve-
(1) XIX, 153; XXVIII, 33.
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duta corta d'una spanna, il Pulci introdusse Ri- naldo tra i baroni combattenti a Roncisvalle solo per la speciaie predilezione ch’ egli aveva pèr que- sto eroe. A questa spiegazione parrebbe opporsi l'ottava 169 del canto XXV, altrove citata. Ma si noti: anzitutto non sarebbe questa la prima con- traddifione del Pulci; poi egli qui, come în molti altri luoghi, scherza: è vero infatti che senza Ri- naldo l’imperatore ron avea rimedio, e Marsiglio sarebbe venuto a por l’ assedio a S. Giovanni Piè di Porto ? Chi mais’ è sognato di pensarlo ? In terzo secondo luogo colle parole Ch'° io ccc. il Pulci po- trebbe accennare benissimo a un consiglio datogli dal Poliziano, di chiudere il poema dell’Or/ando in- compiuto, con un’ ampia descrizione della rotta di Roncisvalle. Si noti a questo proposito che Ri- naldo è la cagione principale dell’eccidio dei Pa- gani.
Sai tu chiaro Che questo sia il signor di Montalbano ?
chiede un negromante di Toledo al demonio Ru- bicante; e aggiunge: Se così fusse, e’ non ci fia riparo (XXVI, 260) E altrove il Pulci stesso dice:
E’ bisognava che Rinaldo vegna Se non che Carlo non avea rimedio (XXV, 170.)
Notiamo ancora che egli non solo prende parte alla battaglia, ma aiuta l’ imperatore a sconfiggere i Pagani, anzi, prendendo in qualche modo il posto di Carlo Magno, diventa il vero vendicatore di Or- lando. Lo dice il Pulci stesso:
E non poteron /i baroni) nessun contradire, Che, poi che vendicato aveva (Rina/do/ Orlando Volea pe ’1 mondo andar peregrinando (XXVIII, 29).
Consideriamo finalmente i versi che seguono
poco appresso:
Tutta Francia ne fe’ gran lamento Poi che un tanto campion (Rina/d0) nel mondo è spento.
ui@gee
E credo in verità che così sia Perchè pur molte cose ho di lui scritto ; E per virtù della sua gagliardia, E par ch’io sia come costor già afflitto : E come peregrin rimaso in via, Che va pur sempre al suo cammin diritto, Col pensier, colla mente e col cervello Così vo io pur sguitando quello. E si’ credessi di piacere ancora.... Io piglierel di questa storia affanno (30-32).
Chi non sente in questi versi come il personag- gio del cuore del Pulci è Rinaldo ? Come egli ha cantato Orlando, ma il vero eroe del poema è il sire di Montalbano? (1).
Ma studiamo più da vicino la figura del prode barone. Nell’ Orlando Rinaldo non è troppo tenero di Carlo Magno, anzi talvolta gli si ribella, ma non gli perde però mai il rispetto dovutogli; nel Morgante invece egli lo tratta da pari a pari, lo ingiuria villanamente. Citiamo qualche esempio. Nel poema più antico Rinaldo, sdegnato per le frodi di Gano, dichiara a Carlo che lascierà la corte e andrà in cerca di Orlando:
Rinaldo disse : Re di valimento Intendo al tutto mettermi in cammino . Cercando io (ir ? )voglio il mio cugino (V, 29);
ma nel Morgante dopo aver dato del pazzo a Carlo (III, 26), così lo rimprovera:
O Carlo, o Carlo questo Ganellone
Vedrai ch’un di ti farà malcontento.
Carlo rispose: Rinaldo d’ Amone
Tempo è d’adoprar sì fatto unguente :
A qualche fine ogni cosa comporto.
Disse Rinaldo: Ch’ Orlando sia morto.
A questo fine il comporti tu, Carlo si E che distrugga te, la corte e ’1 regno (29-30).
Nell’ Or/ando così egli prega l’imperatore a ] sciarlo andare a Montalbano:
Se vi fussi in piacere, magno imperieri, A vedere la mia donna a Monte Albano Andar vorrei molto volentieri (KXVII, 20-21);
nel Morgantesi accommiata senza troppe cerimonie
(1) Anche nella Gerusalemme del Tasso il posto d’ onoré é dato a Ri-
DO
naldo, ma il personaggio più accetto ai lettori e meglio riuscito al poeta è Tancredi.
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Dicea Rinaldo un giorno a Carlo Mano Ch’avea pur voglia da lui accomiatarsi
E ritornare insino a Montalbano —
E qualche di colla sua sposa starsi (X, 75).
Peggio è quando Carlo ha ingiustamente con- idannato a morte prima Astolfo e poi Ricciardetto. ‘Contro l’imperatore egli scaglia le più villane in- 5giurie, e si ride di lui e della sua autorità:
Dicea Rinaldo: Ignun non mi dia impaccio, Io intendo a Carlo far quel ch’ è dovere; Come vedete ch’io le man gli caccio Addosso, oguun da parte stia a vedere:
Jia prima cosa il vo’ pigliar pel braccio, E leévarlo di sedia da sedere,
Poi la corona di testa cavargli
E tutto il capo e la barba pelargli.
E mettergli una mitera a bendoni E ’n sul carro di Astolfo farlo andare Per tutta la città come i ladroni;
E farlo tanto a Gano scoreggiare
Che sia segnato dal capo a’ talloni,
E l’uno e l’altro poi farò squartare,
Ribaldo vecchio, rimbambito e pazzo! (XI, III 112).
Per concludere il Pulci, uomo d’ingegno e di coltura cento volte superiore a quella dei rimatori volgari, non sente punto rispetto per il vecchio Carlo, non sa adattarsì a dargli ragione quando
‘ha commesso qualche sopercheria, e getta senza
riguardo sopra di lui il suo disprezzo.
Il Rinaldo nelle prime compilazioni toscane, nell’ Arcroia, nella Trabisonda, nel Danese e più ancora nell’Orlando, è impaziente e pronto a me- nar le mani: nel Morgante egli diventa brutale, manesco, senza pietà. Infatti mentre nell’Or/ando, giunto coi fratelli alle porte di Saliscaglia, difese da donzelle guerriere, sta ad ossesvare l’ esito della pugna tra quelle e i fratelli (LVI, 19). nel secondo, ad Arcalida, che gli chiede, ove vada:
Dove vai tu, cavaliero, Che par così sicuro senza scorta ?
risponde:
Io tel farò sapere, Aspetta ch’ io t’ infilzo ; tu se’ morta. (XXII, 165/
e fa per ferirla.
ù SIR. pesa Nell’ Orlando la moglie e i figliuoli di Fiera- monte periscono nell’incendio appiccato alla città (XIX, 29): nel Morgante Rinaldo, sordo ad ogni sen- timento di compassione, di Fusberta gli menòe
Un colpo tal, che gli spiccò la testa, Prese i figliuoli e tutti gli ammazzòe (IX, 44).
Che dire poi della sua sofferenza nel tollerare le ingiurie ? Egli non ne ingolla una; d’ogni of- fesa vuole gli sia resa soddisfazione, e chi non la dà tosto, o combatta con lui o si rassegni ad es- sere perfino defenestrato. Non ho che a scegliere tra i molti esempi che potrei citare. Un giorno tuffa in un paiuolo pieno di broda un disgra- ziato saracino, perchè gli dava noia vederlo suc- chiare troppo avidamente dl quella (III,48-51); un altro, sedendo alla mensa di Diliante, ammazza con un terribile manrovescio un buffone ehe gli avea tolto dinanzi una scodella di tartufi « bene acconcia in guazzetto » (XXII, 42-45). Oggi contro il diritto delle genti ‘scaraventa da una finestra nella piazza sottoposta un ambasciatore che gli ha parlato con poco rispetto (XV, 95); domani butta in mare il padrone della nave che lo conduce a Saliscaglia, perchè lo sente rammicarsi di aver accolto nella sua barca cavalieri cristiani (XX, 41). E la stessa sofferenza egli dimostra verso i baroni suol compagni d’ arme.
E inutile dire che anche il Rinaldo del Pulci ha quella smania di menar la spada, che inco- mincia a formare uno dei caratteri distintivi del Rinaldo toscano. Qui anzi questo tratto caratteri- stico è messo in maggiore evidenza. Egli è, dice l’au- tore nel canto ventesimo (89),
un diavolo incantato E vuol sempre vedere cose terribile;
si *
e altrove:
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de 96 Dali & Or questo 6 quel ch'a Rinaldo piaceva, © uanto.e’ sentia più cose oscure e sozze, dove far qualche mischia credeva, E ’gli pareva proprio andare a nozze (XXI, 28). Ma il buon paladino oltre che iracondo e ma- nesco, è anche presuntuoso, spaccone. Al Pagano che gli promette metà del reame, se ucciderà la fiera, dice superbamente:
Io non cerco reame Io n’ ho lasciati sette in mio paese (IV, 48/;
e a Can di Gattaia che gli domanda quanto soldo valevano egli e i compagni, risponde:
Per cento baroni” Ognun di noi, se contento sarete (XX, 61/.
Lascierò di dire che il. Rinaldo del Pulci è un _ hiottone che si preoccupa troppo spesso di quello che dovra mangiare ( XXII, 162; XXV, 206, 214, 297); che si compiace di far lunghi discorsi, di motteggiare, di dire barzellette (IX, 19-23: XIIT, 31-34); che scherza talvolta sulla. religione (XI, 20-21; XII, 42-43), per-
chè questi caratteri egii ha comuni con altri pala.
Si
pra
dini. Toccherò invece di uno strano desiderio del
«nostro eroe di conoscere quello che agli altri è
ignoto, di diventare, come Ulisse, esperto E. degli visi umani e del valore, che lo induce a lasciare. già vecchio la corte, e andar peregrinando per il mondo. Ad Astarotte egli chiede ragione delle co- lonne d’Ercole (XXV, 228) e se gli abitatori degli an- tipodi si salveranno (232): lo tenta per sapere se può essere che il ciel rimuti il suo decreto antico, che danna i demoni all’ inferno (282); lo prega a dirgli se Luciana, nel ricamare sul famoso padiglione i principali animali, ha preso abbaglio (310). Che più? Non affermano alcuni ch’egli andasse agli antipodi. o
Ma lo autor di sopra, ov’io mi specchio,
Parmi che creda, e forse crede il vero,
Che, benchè fussi Rinaldo già vecchio,
Avea l’ animo ancor robusto e fiero.... E ch’ e’ passassi alfin d’ Ercole i segni (XXVIII, 33).
VSC, 0 7 TA Strana cosa davvero un paladino di Francia di- ventato un esploratore: ad ogni modo, se c’era personaggio che potesse ricevere così curiosa me- tamorfosi, era appunto Rinaldo, il cui tipo gl’ Ita- liani avevano foggiato a modo loro, fino a renderlo quasi del tutto nostrale!
Tale è in pochi tratti la figura del nostro eroe, il quale tra i personaggi principali del Morgante è senza dubbio il più piacevole, e, sto per dire, il più artisticamente perfetto. Non ha, è vero, la magnaminità e la gentilezza del Rinaldo francese; è pieno di difetti, che lo fanno parere talvolta per- fino volgare: ad ogni modo quella sua pazza furia, quell’ essere del continuo fatto segno all’ odio di Gano e al sospetto di Carlo, quel misto di genero- sità e di ferocia, di virtù e di malizia ch’è in lui, ce Io rendono più accetto che Orlando discreto e gentile, e a noi pure si comunica l’ammirazione che il poeta sente per lui.
Il Pulci, come tutti i rimatori toscani, vedeva in Rinaldo il tipo del cavaliere più geniale, più conforme ai propri sentimenti; perciò gli diede (forse senza accorgersi di volerlo) un particolare rilievo, lo disegnò con ispeciale amore. Nè solo — questo; io credo che la perfezione artistica del Ri- naldo pulciano provenga anche dal fatto che in esso il poeta trasfuse, per dir così, parte di sè, delle sue opinioni, de’ suoi affetti. Il Graf nello studio citato | su Margutte non dice chiaramente, ma lascia in-
.tendere che lo strano personaggio ritragga alcun poco dell’ animo del poeta: a me pare che questo possa dirsi con più ragione di Rinaldo. |
° Che il Pulci dovesse essere un uomo per na- tura litigioso, stizzoso, e, se la parola non sembrasse irriverente, accattabrighe, si cava e dai sonetti scam- biati con Matteo Franco, e da alcuni tratti del Mor-
’ 7
eo Preti
_
RR gante in cui se la piglia con certi suoi critici e dalle lettere, in una delle quali egli stesso si chiama « imprompto » (1). Anche quel parlare così spesso e volentieri, specie negli ultimi canti del poema, di sè e delle cose sue; quel disdegnare qual- siasi freno, e procedere sicuro e spedito per la sua via, senza riconoscere altra autorità che la pro- pria; quell'aria, direi quasi, di provocazione che lo distingue, fanno pensare al carattere del suo eroe. Chi poi non vede nel desiderio che ha Rinaldo, di indagare il vero, di toccare il fondo di alcune pericolose questioni, di visitar nuove terre, l’ uomo del rinascimento, avido di conoscere e d’imparare ?
Peccato che la morte od altro abbia tolto al poeta di comporre il romanzo vagheggiato sulle imprese di Rinaldo nel nuovo mondo (?). Documento più curioso sullo spirito del Pulci e in generale dell’ età sua, non avremmo avuto certamente!
Ho detto che il personaggio più importante del poema in realtà è Rinaldo: ma ho aggiunto che apparentemente tiene il primo posto Orlando. Tale è la impressione che prova chi legge sì l’ Or/ando che il Morgante. Orlando, come suppone ragione- voimente il Rajna, intitolavasi il poema dell’ignoto rimatore toscano. Da Orlando incomincia la prima parte del poema: e la seconda, aggiunta dal Pulci come a compimento di quella, riesce in fondo alla glorificazione dì esso. A Orlando suole dare tali ono- revoli epiteti, attribuire così singolari virtù, che lo rendono il primo cavaliere della cristianità: e gli altri baroni, compreso Rinaldo, lo riconoscono. Egli è poi il personaggio sul quale il Pulci scherza meno:
(1) Lettera a Lorenzo il Magnifico del 27 febb. 1471. Il Franco poi scrive senza reticenze al Magnifico (24 gen: 1475) « Gigi è importuno, Gigi € fastidioso, Gigi ha pessima lingua, Gigi pazzo ecc. »
(2) Morgante, XXVIII, 32. Nel dicembre poi del 70 scriveva al Magni- fico da Foligno: « Et farassi ancora il Danese e Rinaldo et cose meravigliose nel mio ritorno n.
— 99 — diresti che la grandezza di quel paladino gl’ inspiri “una cotal riverenza, gli faccia morir sulle labbra le facezie. Poteva farne un cavaliere goffo, creden- zone, ridicolo come l’imperatore, di cui egli è ni- pote: ma invece, mentre sul povero Carlomagno getta a piene mani lo scherzo e te lo rappresenta « rimbambito e pazzo », a Orlando dà rilievi e con- torni del tutto serî: si direbbe anzi che si sforzi di ritrarre in luì il tipo der perfetto cavaliere. Egli infatti tti è c devoto all’ imperatore, ma giusto e nemico delle soperchierie, sì che lascia pieno di sdegno la corte, quando Ricciardetto sta per essere impiccato (XII, 15). È' poi longanime sino a confortare que- st ultimo e gli altri paladini di liberar Gano, che pure ha fatto tanti tradimenti, dalle mani di Creonta (XX, 22). Offeso «dal suo bollente cugino, cerca di rappacificarsi con lui (X, 87) e si sforza fino all’ul- timo di non venire con esso alle mani (108). Ma la sua figura grandeggia specialmente nella i seconda parte del poema, dove pure il Pulci rima- i neggia più liberamente il racconto. Il discorso ch’e- : gli fa ai suoi soldati per incuorarli alla pugna, è ‘ epicamente bello, e, come ha notato il Rajna, tocca ; al sublime: la descrizione della morte di lui è fra ‘i tratti più serî e più notevoli del poema.
Per altro qualche leggera modificazione ha ri- cevuto anche il carattere di Orlando per opera del- l’allegro poeta fiorentino. Egli ha “scoppî d’ira vio- lentissimi (XII, 14; XVI, 76): è « discreto e gentile »,
«ma « molto fier quand’ egli è adirato » (x, 91); paga gli osti a bastonate quando « i denar gli mancano » (XX, 15); se alcuno gli manca di rispetto, sa vendi- carsi terribilmente (XVIII, 31); offeso o svillaneg- giato, rende pane per focaccia (X, 86). Non è così facile agli amori come Rinaldo, anzi, per confessione di costui, « sol conosce Alda la bella» (XVI, 56), e
— 100 —
solo una volta resta impigliato nell’amorosa pania.
(XV, 68); ma si permette qualche scherzo lubrico
(XVI, 57), e, abbracciato da Chiariella, « non gli
spiace niente » (XII, 78). |. Notevoli modificazioni ha ricevuto il carattere di Carlomagno. I poeti toscani che trattano le ge- sta dei ribelli, lo rappresentano come un monarca debole, inetto, timido più che una lepre, se non ha seco i paladini, zimbello dell’ astuto manganzese. Tale pure esso apparisce nell’ Orlando. L’ ignoto rimatore sente in fondo all’animo disprezzo per il vecchio Carlo, e rende alle volte il suo sentimento con efficacia, come quando fa dire da Astolfo a Ri- naldo (il quale, abbattuto Carlo, non gli aveva però fatto oltraggio): Cugin mio caro, tu no vali un bottone, Però che quando el re Carlo abbattesti Ben fusti vile che tu no l’ uccidesti (XXI, 11).
Pur tuttavia parla direttamente di lui con una, quasi direi, rispettosa timidezza e non gli dà epiteti ingiu- ,riosi o sconvenienti alla sua dignità. Nel Morgante Carlomagno ha un duplice aspetto. Nel principio e sulla fine del poema egli è l’impe- ratore saggio, pio, valoroso dell’ Aspromonte, della Spagna, del Viaggio ecc.; nella parte di mezzo è un personaggio del tutto ridicolo. | |
Ricordiamo le ottave della protasi già citate, e consideriamo poi l’ ultimo canto. Il poeta si argo- menta di giustificar il suo eroeche s'è lasciato in- gannare così grossolanamente da Gano, dicendo che Cristo stesso non si seppe guardare dai traditori, che Gano « avea molta possanza » e gli era stato qual- che volta «buon compagno », e via via (XXVIII, 17-23); ritesse poscia la storia di quell’ « uom divino » dandogli tante lodi che le maggiori non si potrebbe (XXVIII, 54-128); in fine si scusa di non averlo ma-
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— 101 — gnificato abbastanza e promette di « ristorarlo » in un'altro poema (id. 129).
Vediamolo ora invece nella parte di mezzo del Morgante. Altro che «uom divino »! altro che « ma- gno »! Da Rinaldo, addolorato per la lontananza di Orlando, gli è dato del pazzo (III, 26). Quando giunge la nuova che Erminione muove contro il regno di Francia, gli trema il cuore per la paura, e all’ambasciatore di quello risponde « timido e molle » (VIII, 38). Quando sente che Rinaldo è entrato coi fratelli a Parigi e vuol. vendicarsì del bando datogli iniquamente, « sgombera la sala » e va a casa d°Orlando, ove Alda la bella lo nasconde (XI, 113-114). Insomma è inutile moltiplicare gli - esempi per dimostrare quello che s’è notato altrove, cioè che il Pukci non sente per Carlomagno il ri- spetto che avevano verso di lui i rimatori toscani, e se questi ne fanno un uomo debole, incostante, timido, il cui procedere muove a sdegno: egli ne fa” un imperatore da bugla, che ti fa sorridere di com- passione.
.Il diverso aspetto poi che assume questo per- sonaggio in una stessa composizione, ci permette
| di asserire una volta di più che il Pulci intendeva ‘di fare un poema più serio che non gli sia riuscito
il Morgante, ma la società in mezzo a cui visse e . la- temper® del suo ingegno fecero che il poema si trasformassé in un racconto tra serio e faceto, per ridiventar tragico verso la, fine, quasi il poeta vo- lesse persuadere sè e gli altri di aver soddisfatto
«al desiderio della pia gentildonna.
Da Carlo non iscompagniamo il suo fedele servi- tore Gano. Già nella letteratura toscana anteriore al Pulci egli è un traditore « prescito più che Giuda Scariotto »; e i suoi tradimenti sòno come la molla che mette in movimento i personaggi di molti e
— 102 — molti poemi; ma il nostro ha dato un particolar rilievo a questo carattere, l’ha reso esteticamente più perfetto. Nell’ Or/ando egli ordisce inganni a danno dei paladini: nel Morgante la sua mente è continuamente occupata nell’ inventar cabale,
nel tramar insidie per farli perire, ed egli diventa
«il tipo più obbrobrioso diogni frode e perfidia »(1). Margutte nella sua malvagità non ispira l’ orro- re ed il ribrezzo che lo sleale paladino. Si noti a tal proposito come, secondo il Pulci, egli sia con- fidente ed amico di Biancandrino e di Marsilio, e prima ancora di ricevere il famoso schiaffo (XXIV, 47) speri in quest’ ultimo per rovinare il regno di Francia (XXIV, 28); come inoltre alcuno dei Pala- dini sospetti che Gerusalemme sia stata perduta per opera di quel ribaldo (XXVII, 194); come infine, ricevuta la mortale offesa da Ulivieri, non se ne îno- stri offeso, non prometta in faccia a tutti di ven- dicarsi, ma taccia, meditando in cuor suo il tradi- mento di Roncisvalle, anzi nel partire dia all’ offen- sore il bacio di Giuda (XXV, 4). Parimenti egli non ha il coraggio e la forza che gli attribuiscono, per recar qualche esempio, l’autore della Chanson de Roland (XXXVII), del Viaggio di Carlomagno (XLVII), della Rotfa di Roncisvalle (XXXV, 31): anzi è abbat- tuto infinite volte dai suoi nemici. Si confronti a questo. proposito l’ episodio del combattimento di lui contro i giganti, nell’ Orlando e nel Morgante. L’ ignoto autore del primo poema accenna alla prodezza di Gano, al suo valore nel difendersi da quelli come « forte, ardito ed aiutante » ch’ egli è (XLIII, 20), e quando vien trascinato prigione, gli mette in bocca una commovente preghiera (24). Il Pulci invece lo fa prendere quasi subito dai giganti
‘
(I) Rajna, Prop. IV, 2*, 180.
RI ù
3 Fresstati ea: rata
— 103 — e portar di peso nel castello di Creonta lor ma- dre (1) (XX,14). Ha notato il Rajna come la malizia di Gano nel Morgante ha preso una tinta particolare: egli non teme i giudizî di Dio, si fa beffe della divinità e dice
cinicamente:
Tante te n’ no fatte ormai Cristo, che questa mi perdonerai (XXY, 67).
Il poeta per altro, quasi obbedendo a un senti- mento di onestà, descrive con particolare compia- cenza i guai a cui va incontro Gano per la sua perfidia. Nell’ Orlando Antea, fattolo pigliare,
Disse : Baroni, dategli tormento ; E’ suoi famigli subito il legaro E di molte mazzate gli donaro (XXXVI, 11).
ma nel Morgante la pena del disgraziato è descritta
con molto vivi colori.
E fecegli (Antea) imbottire il giubberello Da quattro mammalucchi co’ bastoni, Nè mai campana suonò sì a martello, Quanto e’ suonavan le percussioni. Guicciardo ne godea, così il fratello, Poi che battuto fu, que’ compagnoni Lo rìizzan su con ischerno e con beffe Dicendo tutti: Nafferi bizzeffe.
Non intendeva Gan questo linguaggio Se non che la fanciulla EUe chiarì..... (XVII, 62-69).
Così pure è descritto molto ‘particolarmente il supplizio estremo del malvagio Paladino; il poéta vi spende non meno di sette ottave (XXVIII, 8-14), e si compiace di inventare nuove forme di pene, parendogli le ordinarie troppo miti alla sua perfi- dia. Ora tutto questo mi pare fortemente pensato e sentito, e mostra come nel Pulci si nascondessero un animo ed una mente di artista perfetto, capace di dare un poema come l’Innamorato ed il Furioso, be diversa fosse stata la sua educazione letteraria.
Non mi fermerò a notare come Turpino diventi nei Morgante giustiziere, ed eseguisca maestrevol=
«rca nate
(1) Solo nell’ ultimo canto (ott. 20) per giustificare la stima di Carlo- magno verso di Gano confessa a bocca siretta che avea molta possanza, © qualche volta gli fu buon compagno.
— 104 — mente il suo ufficio (XXVII, 284-285); nè come Mar- silio, che nella prima parte del poema è un perfetto cavaliere e per confessione del Pulci un uom « ge- neroso e discreto », nella seconda sia bestemmia- tore, mendace, ipocrita, degno amico di Gano(!) (XXVI,
118-19), Toccherò invece del carattere di Morgante.
Come e quando lo strano personaggio sia en- trato nella letteratura romanzesca italiana non è ‘’ stato possibile fino ad ora di stabilire: e 1 Hùbscher, che ha studiato le fonti dell’ Orlando, Ss’ & “Tovuto tener pago di additare alcune rassomiglianze con altri personaggi romanzeschi, e nulla più. Certo è che non dovette avere un’ importanza molto grande, se non si mostra in alcuno dei poemi a noi noti, fuori che nell’ Orlando, e in questo stesso ha una parte affatto secondaria, e scompare dalla scena a
un terzo circa del racconto, cioè al cantare XVI (31).
Il Pulci, conforme alla natura sua, s’ innamorò di questo personaggio, espressione della forza pura- mente materiale accoppiata ad un sentimento molto grossolano dell’ onestà, e gli diede una parte molto più notevole del suo poema: secondo il Rajna anzi perciò appunto egli avrebbe intitolato questo Mor- gante. In più luoghi il poeta rimaneggia il racconto dell’ Orlando. Nel canto VII narra come Morgante, confortato il corpo con una buona cena e lo spi- rito colla benedizione di Caradoro, appena si leva il sole, si avvia al campo di Manfredonio, e vi ap- picca il fuoco. Scoperto, è circondato da migliaia di Pagani, e incomincia tra questi e il gigante una terribile battaglia, descritta dal Pulci con molta ricchezza di particolari. Questo episodio è del tutto
(1) Il poeta si è accorto della contraddizione e tenta di scusarsene così:
E se fu anche, gentile e discreto,
Come in altro cantar già dissi e ‘scrissi,
Io il dico un’altra volta, e parlo retto,
Che questo non emenda altro difetto (XXVI, 118)
— — ne
— 105 —
nuovo. Così nell’ assalto dato da Meridiana al cam- po di Erminione, Morgante ha una parte notevolis- sima: difende lungamente la donzella guerriera ac- cerchiata da una turba di Pagani, e la sottrae col suo valore alla morte (Xx, 48). È lui inoltre che uc- cide Vegurto (X, 30). Invenzione del Pulci sono pure le prodezze che compie il gigante in compagnia di Margutte, la liberazione di Florinetta, la presa di Babilonia che senza di lui non si sarebbe espugnata, il viaggio di mare, nel quale egli serve di antenna alla nave, e finalmente 1l’ uccisione della balena.
Ma il Morgante pulciano è per altri rispetti diverso da quello dell’ Or/ando. A lui infatti s'è. appiciccato alcun poco del fare di Rinaldo: egli mena un po’ troppo vanto del suo valore; oserebbe scendere all’ inferno con Orlando per
inghiottir quel Flegias’ n un boccone
Tesifo, Aletto, Megera e Eriton E Cerbero ammazzar con un punzone (II, 39);
non pensa che a riempire il sacco; ha pochi scrupoli. quando si tratta di fare il suo pro; ‘è poi cento volte più scaltro che il suo confratello dell’Or/ando. Insomma c’è in lui quell'insieme di virtù e ma- lizia che caratterizza altri personaggi del poema. Senza questo egli non si sarebbe certo famiglia- rizzato con Margutte. Il Rajna col solito acume ha notato che il gigante in questo episodio non è più lui e materialmente e moralmente. Infatti si man- gia un elefante, si beve due otri di vino, si stuzzica i denti con un pino; ama poi la compagnia di Mar- gutte, bastona di santa ragione l’ oste che non ha tanto da saziarlo, tiene mano alle ruberie del suo compagnone: in una parola non par più il cristiano convertito del primo canto. Per altro bisogna ag- giungere che egli è ben diverso da quello, anzi la costui malizia contrasta talvolta colla onestà di lui. Egli è infatti che ha una cura gelosa di Florinetta,
— 106 — che rimprovera Margutte, il quale la molestava, e la riconduce senza che le sia fatto il menomo 01l- traggio, al padre, tanto che ella stessa gli dice:
come fratello, Come tu ami me, certo te.amo (XIX, 114).
Potrebbe qui domandare qualcuno come mai il Pulci che diede maggiore rilievo al personaggio di Morgante, non lo abbia introdotto tra i combat- tenti a Roncisvalle; e qui varie risposte si affac- cerebbero. Io per me credo che egli non sarebbe forse stato alieno dal farlo, ma quando compo- neva il canto XX, probabilmente non aveva di- visata l’ ampiezza da dare al racconto della rotta, nè poteva sapere se lo strano personaggio avrebbe potuto convenevolmente trovar posto tra i paladini.
Darò l’ ultimo luogo a Margutte, quantunque per la perfezione artistica gli converrebbe uno dei
| primi. Ma, oltre che egli non è cavaliere, ha avuto
im i e cl
‘ già l’ onore di essere studiato da un- valente cri-
tico (1): dirò quindi dì lui poche cose. Conviene anzitutto ricordare come l’episodio di Margutte non si ricolleghi in aleun modo col re-
‘ stante del poema, talchè potrebbe sopprimersi senza
che l’ economia del racconto venisse turbata. Il Graf nota che il Pulci non mescolò Margutte coi cavalieri e lo fece morir presto, perchè egli è « l’as- soluta negazione di ogni virtù, di qualsiasi usanza cavalleresca », o forse anche perchè egli non pia- ceva a Lucrezia Tornabuoni. Io credo che -egli-non. pensasse minimamente di tenerlo a lungo sulla scena, e, come ho detto altrove, l’ introducesse nel poema solo per togliere la monotonia del racconto. Ho fatto anzi notare come Morgante gode pensando al diletto che proverà Orlando sentendo narrare le « piacevolezze » di Margutte (XVIII, 182) e come -
(1) Graf, art. cit.
— 107 — infatti egli le racconti ai paladini (XIX, 166). Per- chè poi a fine di raggiungere il suo intento abbia ideato' così strano personaggio e così stranamente malvagio, non è facile dire. Che possiamo asserir noi alla distanza di quattro secoli? E se il proto- tipo di Margutte fosse stato un uomo in carne ed ossa, un quissimile di quel Folaga de’ Peruzzi nelle Novelle del Sercambi, col quale il personaggio pul- ciano ha pure una certa parentela? Ma i critici, e con ragione (1), inclinano a credere che il Pulci si sia compiaciuto di foggiare quel tipo come amore gli*dettava dentro, che esso sia balzato dal cervello del bizzarro poeta, come Minerva dal capo di Giove, intero e perfetto nella sua malvagità. Certo che esso per la sua stranezza meritava lo studio che ne fece il Graf. Egli è il fiore dei birbanti e non c’è ribal- deria cui non abbia commesso o non sia pronto a commettere. Non crede nè a Dio nè alla virtù, ma solo ai buoni bocconi ed ai vini delicati; confessa poi con meravigliosa improntitudine i suoi vizi e gode di essere tenuto per il più briccone fra i bric- coni. Per altro (e mi par ragionevole notarlo) fra tante magagne ei si vanta di avere una virtù, cioè di abborrire i tradimenti: conclude anzi la sua con-
fessione dicendo:
d questo &àlla fine udirai Che tradimento ignun non feci mai (XVIII, 142).
Egli non ha dunque l’ obbrobrioso vizio che ci ren- de così dispetto il conte di Maganza.
(1) La stranezza di qnesto tipo ha fatto rilevare il poeta stesso nella ott. novantesima seconda del canto XXIV:
In questo, in mezzo il prato hanno veduto Un uom, che parea stran più che Margutte; E zoppo, e guercio, e travolto, e scrignuto, E di gigante avea le membra tutte, Salvo che ’1 capo era a doppio cornuto; Saltella in qua e in là come le putte, E scherza, e ride, e più giuochì fa quello, Ch’ un Fraccurado o uno Arrigobello:
più sotto anzi (97) lo chiama « Marguttino n.
— 108 —
Questa forse è una delle ragioni per cui il Mar- gutte non è in sostanza un personaggio che desti ribrezzo, chè anzi egli conquista l’animo del lettore e si fa perdonare la sua ribalderia. E in ciò si ri- vela tutta la potenza artistica del Pulci, senza il cui ingegno Margutte sarebbe stato, come dice il Rajna, « schifoso e ributtante ».
Ma, per riprendere il filo del ragionamento, bi- sogna anche notare ch’ egli è trascinato al male da una forza misteriosa, a cui i moderni han dato il
‘ nome di atavismo. Infatti è nato illegittimamente
« d’una monaca greca e d’ un papasso » (XVIII, 118),
e perciò menò con sè
Tutti i peccati o di turco o di greco (119).
In terzo luogo egli non opera il male per sè, ma per procurare piaceri al suo corpo: « il grosso della malvagità, ha notato il Graf, in lui viene da un smodato desiderio di godere » ; quando ha pieno il sacco, è il miglior galantuomo. Infine i suoi in-
| ganni, le sue mariuolerie (che il poeta chiama « pia-
pri
cevolezze ») sono preparate con sì fine astuzia, con- dotte con tanto garbo, che rassomigliano alle burle degli uomini di corte del medio evo, e più che a sdegno muovono-a riso.
Tale è il personaggio che il Pulci si è compia- ciuto di delineare con contorni più spiccati, di farci conoscere più intimamente, appunto perchè nuovo, perchè creazione individuale. E il personaggio cer- tamente incontrò il favore del pubblico, se l’ epi- sodio di Morgante e Margutte s’ incominciò ben presto a stampare da solo, e del cinquecento sene— conoscono tre edizioni.
Del resto doveva esser così, perchè esso ritrae molto dell’ età in cui nacque e visse. Il suo scetti- cismo, ia sua sensualità, quella raffinatezza nel
— 109 — ‘male, quella coscienza della propria perfidia, infine ‘quel vantarsi delle sue ribalderie fanno pensare ai ‘costumi del rinascimento, richiamano alla memo- ria personaggi reali di quell’ epoca.
ve
-NOTIDIE BIBLIOGRAFICHE E CRITICA
p. 1. Quanto afferma Bernardo Tasso (Lettere, Venezia, 1575, II, 307) che il Pulci fosse invitato a scrivere il M. da Lucrezia, è contraddetto dal passo XXVIII, 2.del poema. — Da lui anche la notizia che lo andasse «cantando alla tavola del mentovato Lorenzo » (l, c.), confermata dal Vasari (Ragiona- menti, gior. seconda, rag. 2.). Cfr. anche Volpi, art. cit., 553, x.
id. La ragione del titolo per il Rajna (Prop. II, 1*, 22) è il maggiore sviluppo dato al personaggio di Morgante; per il Gaspary (op. cit., 249) il proposito di far « intravedere la sua vera intenzione »,.cioè mescolare il serio col faceto. E perchè non anche la sua bizzarria? — Morgante Maggiore poi, per il Rajna (id., 1.° 333, n.) a fine di distinguerlo dal Morgante minore o Morgante piccolo, civè l’ episodio di Mar- gutte, che si stampò anche separatamente; per il Gaspary (op. cit., 361, x.) per designare il poema iutero in XXVIII canti. Ma questa designazione era inutile per le ristampe suc- cessive a quella dell’83, non essendosi più ripubblicato il poema in XXIII canti; e d’altra parte un’edizione del Morgante Margutte (senza anno, nè luogo, nè stampatore) pare appunto che debba riportarsi al 1480 circa (cfr. Melzi e Tosi, Bibliog.
— 12 — dei rom. di caval. it., Milano, Daelli, p. 205, e Audifredi, Specimen histocum ecc., p. 395.). Parmi dunque più ragione- vole l'ipotesi del. Rajna.
p. 2. L’ Orlando lar&amente studiato dal Rajna, special- mente nei suoi rapporti col )forgante, non trovò trai gio- vani italiani un editore, e fu pubblicato alquanti anni dopo dal citato filologo tedesco, che mandò innanzi al testo una lunga introduzione, nella quale egli compara canto per canto i due poemi, dimostra, convalidando le prove già addotte del Rajna, che l’ uno è un rifacimento dell’ altro, e tenta di stabilire le fonti a cui può aver attinto l'ignoto rimatore. Vedi la recen- sione del lavoro in Giorn. Stor. d. lett. it. IX, 516.
id. Le prove che l’Orlando era incompiuto in Rajna, Prop., II, 1,° 256, e Hiibscher, op. cit., p. L.
, id. La data 7 febb. 1482 è in realtà 7 febb. ’83 per la differenza tra lo stile fiorentino e lo stile comune.
p. 4. L'edizione procurata dall’ Hiibscher ha sessantun cantari, ma egli ha creduto bene riprodurre anche l’ errore del codice, per cui dal XXXII si passa al XXXIV: errore dovuto al copista, perchè il filo del racconto non è punto spezzato.
p. 5. Nel computare le ottave dell’ Orlando tengo conto anche di quelle che mancano nell’ ed. dell’ Hiibscher per l’im- perfezione del codice.
p. 6. Per il Rajna e l’Hiibscher il Pulci prende a compen- diare il testo dell’ Or/ando dal cantare XL, cioè dopo narrato l’ episodio di Morgante e Margutte. A me pare ch’ SE sine0= minci a farlo dal XXXIV.
p. 9. Colle parole citate accenna al poema Cirifo Cal- vaneo, condotto a buon punto dal fratello Luca, e ch'egli intendeva di [ampliare notevolmente (Cfr. Mazzoni in Prop., N. S, I, 1,° 135 e Gaspary, op. cit. 360 .), come PLSVAnI anche dal passo XXVIII, 118 del M.
p. 10. L'ipotesi dell’ Audin (op. cit., 32) che la prima edizione in XXIII canti fosse « eseguita senza il consenso del Pulci » non è suffragata da alcuna prova. Al Rajna e tanto
Ù
i — 13 — meno & me, è